Terminato il corso infermieri ho cercato lavoro, ma per il primo anno nulla, tramite alcune deludenti esperienze come libera professionista, così ho mantenuto la promessa fatta a mio padre prima di iniziare il corso: prendere il diploma di maturità.
Di salute sono sempre stata cagionevole e sono peggiorata alle
superiori, iniziando a soffrire di una seria cefalea, complicata da maggiore
fotosensibilità, vertigini, nausea, per cui facevo molte assenze a scuola, un
anno sono anche rimasta completamente a casa, e dovevo recuperare dando tutte
le materie a giugno o settembre. Fui sottoposta a tantissime visite ed esami,
ma non si trovava la terapia giusta, tuttavia entrando e uscendo da studi
medici e ospedali e venendo trattata sempre con molta dolcezza dalle infermiere,
presi la decisione che quella sarebbe stata la mia professione e non la maestra
elementare, per cui stavo studiando. In realtà credo di averla avuta sempre nel
sangue questa professione, forse fin da quando con la mia seggiolina preferivo
stare al capezzale del mio nonno paterno (così mi disse la nonna, perché io
avevo un solo anno ed ho solo un flash di ricordo di lui che curvo entra in bagno aiutato da
nonna ed io dietro), malato terminale di cancro alla gola, un tumore terribile
che si aprì all’esterno, aveva una vistosa fasciatura al collo, per cui nonna
non voleva farmi stare lì, ma io ritornavo sempre da lui e gli faceva piacere.
A questo mettiamoci l’influenza del cartone animato di Candy, insomma due più
due… però amavo moltissimo i bambini ed all’inizio questo sembrò prevalere,
nella mia scuola elementare c’era anche l’asilo ed erano così adorabili quei
fagottini col grembiulino ed io giocavo di più con loro che con i miei
coetanei, così pensavo che diventare maestra mi avrebbe realizzata, ma ero
troppo riservata e stare in cattedra con tutti quei bimbi davanti, al momento
della mia lezione prova sulla Sardegna, nonostante il bel cartellone cui avevo
lavorato tanto, fu un completo fallimento, non era la mia strada.
Ricordo che quando dissi ad uno dei tanti medici che volevo fare
l’infermiera, quello mi derise dicendo che con la mia salute non era proprio il
lavoro adatto… oltre che timida ero (sono) pure testarda, così non gli risposi
ma mi ripromisi di fargliela vedere io, così presi la mia decisione e la
comunicai ai miei. Spuntarla non fu facile, tanto per cambiare litigai con papà
e il discorso finì senza soluzione, poi mia madre, durante una breve vacanza in
campagna, gli fece cambiare idea, complice il fatto che suo padre le aveva impedito
di seguire la sua strada e di prendere l’università di medicina per andare a
lavorare, così mio padre, facendosi promettere che avrei comunque preso il
Diploma dopo il corso (lui non aveva potuto studiare per lavorare e ne sentiva
il peso) mi diede il permesso di seguire il mio istinto ed iniziai il corso.
Gli anni del lavoro sono stati pieni e ricchi di esperienze,
positive e non, ed una di queste, che mi portò a contatto con delle persone di
chiesa diciamo incoerenti con lo spirito del Vangelo, mi fece entrare in crisi
con la mia fede, la stessa loro, ma in cui non riuscivo proprio a riconoscermi,
anzi il contrario, e la crisi fu davvero profonda e riguardò tutta la mia
esistenza, entrai in uno stato depressivo ed iniziai quel lungo percorso di analisi
e terapia, incontrando vari psicologi ed approcci, durato ben dieci anni.
Oltre agli approcci, cambiai anche ambiente di lavoro e
tipologia di pazienti, senza entrare troppo nello specifico, fin quando nel
2002 mi ritrovai arida da un punto di vista spirituale, fu allora che una mia
cara amica dei tempi della scuola, Simona, mi portò alle catechesi iniziali dei
Dieci Comandamenti, percorso che lei aveva completato l’anno prima e di cui mi
aveva tanto parlato e che si teneva in una parrocchia romana in zona centrale,
ma io non ne avevo intenzione, dentro me avevo nel tempo costruito una corazza
impenetrabile e non mi arrivava, almeno così pensavo, nulla, la verità è che mi
arrivava tutto solo che io non sentivo nulla, ero come divisa in me stessa.
Comunque all’inizio del 2002 mi sentivo talmente arida spiritualmente che
accettai di andare alle catechesi, il bello fu che lei mi accompagnò solo quel
primo incontro e poi proseguii da sola per tutto il cammino catechetico.
Quando arrivammo, mi sembra fosse un mercoledì sera, in ritardo
perché Simona non è mai puntuale, rimasi scioccata: la sala era colma di gente
e c’erano molte persone in piedi fuori della porta in silenzioso ascolto,
c’erano giovani, adulti e tanti uomini (la cosa mi stupì perché gli uomini non
li vedevo tanto recettivi a questo genere di incontri). Anche noi restammo in
piedi fuori della porta ad ascoltare non capivo bene chi, non sono alta di
statura e non vedevo nulla, ma aveva un vocione squillante, tanto che si
sentiva chiaramente anche senza microfono.
Non entro nello specifico del percorso dei Dieci Comandamenti
per non privare della meravigliosa sorpresa chi eventualmente non l’ha fatto e
con tutto il cuore lo consiglio, ormai so che lo fanno in tutta Italia, quindi
cercatelo nelle vostre città e parrocchie, in quanto, attraverso questo lungo
anno, il Signore mi ha salvata e ripresa teneramente fra le braccia, mi ha
donato una Parola che mi ha cambiato la vita e guarito molte ferite, veramente
sono ritornata a vivere e gioire, riprendendo con ancora maggiore intensità e
profondità una relazione col Signore della vita che avevo perso di vista e la
mia stessa vita, comprendendo come Lui non aveva perso me e mi era davvero
stato accanto ogni istante e sempre sarebbe stato così. Voglio dirvi solo
questo: non so cosa in particolare quella sera, in piedi, scomoda e stranita,
completamente chiusa a riccio, incerta tra l’andar via e il restare, mi ha
spinto a ritornare e ritornare incontro dopo incontro, nonostante la stanchezza
e la scomodità di non trovare facilmente parcheggio in zona, so solo che qualcosa
in quella prima catechesi che prendeva spunto dal brano evangelico delle sorelle
Marta e Maria di Betania che ospitano Gesù nella loro casa, la prima troppo presa
dal lavoro e la seconda in adorante contemplazione del Maestro. Quando don Fabio
ha ripetuto le parole di Gesù “Marta, Marta,
tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria
ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42). In quel momento
è come se al posto del nome Marta, avessi sentito il mio nome. Stava parlando di
me e a me. Forse per questo sono rimasta, se Gesù mi conosceva tanto bene io volevo
conoscere meglio sia Lui sia me stessa.
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