Io
posso testimoniare solo cosa ho visto e provato ad Auschwitz, perché con mia
madre non ce l’abbiamo fatta, psicologicamente e fisicamente, a visitare anche
Birkenau, rimanendo in un pesante silenzio nel pulmino, in attesa del ritorno
del gruppo.
Vi
confesso che ho fatto fatica a riguardare le foto (non le vedo da quando le ho
fatte e archiviate nel 2011), e ripercorrere quella visita, tra l’altro molte
foto sono venute mosse, ero profondamente colpita da ciò che vedevo ed
Auschwitz non è un luogo che si visita per comune turismo. Era vietato
fotografare in alcune sale, c’erano vetrate a custodire i reperti, ma anche se
non lo fosse stato, vi assicuro che non veniva proprio da scattare le
fotografie, e di quelle poche che ho fatto queste le condivido solo per fare
memoria, pregando nel cuore per tutte le vittime di allora e di oggi.
Arrivando
verso Auschwitz mi ha colpito subito la ferrovia, che serviva a far giungere i
treni carichi di deportati, che certo non immaginavano quale sarebbe stata la
loro sorte, infatti, all’ingresso principale del complesso, recintato e dal
1979 Patrimonio dell’umanità protetto dall’UNESCO, c'era la famosa scritta (foto 0001)
“Arbeit Match Frei” (Il lavoro rende liberi) a copertura del reale scopo del
campo.
Non
era disponibile una guida di lingua italiana quando siamo arrivati, occorre la
prenotazione, così i nostri amici hanno scelto una guida polacca, una ragazza
giovane, che, pur facendolo come lavoro e ripetendo, immagino, più volte al
giorno lo stesso percorso e dicendo le stesse parole, ci parlava pesando ogni
parola, con sguardo e tono della voce coinvolto, io non so dove trovava la
forza, io ero appena arrivata e già volevo scappare, ma mi sono risposta che lo
faceva per tramandare la memoria e la verità storica ed in segno di rispetto
per tutte le vite brutalmente spezzate in quel campo.
I
deportati, distinti in due file (foto 0001a) in uomini e donne con bambini, venivano
selezionati subito per la “vita” o per la morte da un ufficiale delle SS
attraverso un pollice verso l’alto o il basso (come mostra bene l’ombra dello
stesso ufficiale in una foto dell’epoca, che non è andata distrutta quando le
SS lasciarono il campo). Appena arrivati i prigionieri erano invitati a
lasciare le loro cose e, in una sala immensa, dietro una vetrata, c’erano tutte
le loro valigie, con sopra scritto il nome del proprietario, essendo anche
molto simili, proprio ad indicare quello che avevano nella mente e cioè che il
campo sarebbe stato una tappa temporanea e che sarebbero tornati a riprendere
le loro cose.
Coloro
che non venivano destinati subito alle camere a gas o alle esecuzioni, dopo
essere stati schedati con un numero e rivestiti tutti con la famosa divisa, o
pigiama, a strisce grigio scure, a simboleggiare che non erano più persone,
venivano internati nelle baracche, dette Block, che il film di Benigni “La vita
è bella” ha mostrato in maniera fedele, sovraffollate di persone. La foto 0001b
mostra numero e tipologie delle persone deportate nel campo, il numero più alto
riguarda la popolazione ebrea, principale obiettivo della “soluzione finale” di
Hitler, ma nel campo furono internati, tra quelli non riportati nella foto,
ognuno contraddistinto da un numero e da un triangolo di diverso colore, cuciti
sulle casacche e sui pantaloni, anche testimoni di Geova (viola)e omosessuali
(rosa).
FOTO 0001c
Gli
internati erano le persone in grado di lavorare, a ritmi e orari disumani
(10-11 h al giorno) e questo, unito al sovraffollamento, alle precarie
condizioni igieniche e alle scarse razioni di cibo, portò presto molti alla
morte e i pochi sopravvissuti testimoniarono al mondo gli effetti di questo
abominio (come mostra la foto 0001c).
Non
tutti i block sono visitabili, essendo moltissimi, ma si percorrono km a piedi
nel campo, dentro e fuori alcuni block, su e giù per le scale, e la fatica
fisica non è paragonabile alla pesantezza interiore, che rendeva difficile ogni
passo. Le sale non fotografabili sono simili tra loro, tutte enormi e protette
da vetrate, a custodia della memoria, ognuna con reperti ritrovati e
organizzati per tipo (in una masse di capelli, in un’altra occhiali, quindi
scarpe, abiti per bambini, …), e nelle sale c’erano anche dei reperti singoli,
saponette fatte con le ceneri dei condannati a morte, calze tipo collant fatte
con i capelli (si potevano persino vedere in controluce); tutti sconvolgenti a
vedersi, tutti che testimoniano l’orrore perpetuato da Hitler, tutti per
insegnarci e gridarci con forza che non accada mai più, e faccio mie le parole
del Beato Giovanni Paolo II, che ha vissuto la persecuzione nazista perdendo
tanti amici, conoscenti, “MAI PIU’ LA
GUERRA”.
Un
grido quanto mai giustificato, visti i numerosi focolai, fuochi, incendi e
guerre vere e proprie in atto, come in Siria, dove il massacro non risparmia
donne e bambini, persino neonati, torturati in nome dell’odio e a beneficio di
dittatori e mercanti di armi. Mai più la guerra, mai più questi orrori, questo
testimoniano ora Auschwitz e Birkenau, questo gridano coloro che sono stati
trucidati, questo significa questo giorno della memoria.
Camminando
e passando da un block all’altro, abbiamo attraversato un lungo corridoio con
una serie di foto dei prigionieri (foto 0001d), ho camminato lentamente
guardando ogni volto scarno, alcuni tumefatti, e mi ha impressionato lo sguardo
vitreo di alcuni, come se solo il corpo fosse ancora vivo.
Oltre
dentro ai block, anche fuori nel cortile c’erano reperti, ogni volta che uscivo
all’aria aperta mi colpiva la natura fuori, gli alberi, gli uccelli, tutto come
se fosse normale, anche allora doveva sembrare così, ma quel luogo non era e
non è normale. Mentre all’interno dei block non riuscivo a respirare bene,
appena fuori cercavo di prendere ossigeno e la forza di continuare la visita.
Come
mostrano le foto 0001e ed f, in una parte del cortile è rimasto una parte del
muro dove venivano fucilati i prigionieri, ora in ricordo si lasciano mazzi e
corone di fiori (vi era ancora quella lasciata dall’allora sindaco di Roma,
Alemanno, in visita con gli studenti al campo nei giorni della memoria) e
lumini, e le persone, anche noi, sostano in preghiera.
La
guida ci ha anche portato dove fu rinchiuso e morì s. Massimiliano Kolbe,
sacerdote polacco e frate minore conventuale, molto devoto della Madonna, tanto
che istituì la Milizia dell’Immacolata (e morì il 14 agosto ai vespri della
festa dell’Assunta che ricorreva il giorno dopo), a me molto caro per essere
stato anche missionario in Giappone, contribuendo a diffondere la fede e
l’amore a Maria in quel paese, che si offrì (nella foto 0001g c’è la targa di
commemorazione del luogo dove è avvenuto lo scambio) di prendere il posto di un
padre di famiglia (poi sopravvissuto ad Auschwitz) condannato al bunker della
fame - per rappresaglia delle SS per la fuga di un prigioniero della sua
baracca -, un luogo angusto e buio, nei sotterranei, dove ora è posto un cero,
che a vederlo mi ha provocato un senso di soffocamento tanto che ho fatto una
foto al cero (venuta male) e sono uscita di corsa. Tutta l’esperienza ai campi
di concentramento, drammatica e dolorosa, non ha piegato la fede di quest’uomo
e il suo ministero sacerdotale, se avete occasione leggete una sua biografia,
comunque vorrei riparlare di lui più avanti in un altro post, a Dio
piacendo il 14 agosto prossimo, così
come vorrei parlare di altre figure morte in quel campo, come Edith Stein, ma
vedremo.
La
tappa che mi ha dato il colpo di grazia è stata quella alle camere a gas ed ai
forni del crematorio (foto 0001ha-0001i). La foto 0001hb rappresenta una
ricostruzione in plastico della struttura. Il gas, utilizzato normalmente come
pesticida, era lo Zyklon B, ci sono a testimonianza le latte vuote, e veniva
gettato da un buco in alto nel soffitto, poi richiuso. Le camere a gas sono
sconvolgenti, alle pareti, come potete vedere dalle foto, sono presenti i
graffi delle persone, che, introdotte nude con la scusa di fare la doccia, disperate
e nel panico, si accalcavano l’un sull’altra cercando di arrivare in alto per
respirare, schiacciandosi, nel tentativo di cercare l’aria. Hanno fatto una
morte orribile, e le pareti sono come impregnate di un odore strano,
sgradevole, tanto che ho accusato una forte nausea, sono uscita di corsa ed ho
scattato l’ultima foto al forno, quindi ho cercato l’aria, sperando di non
sentirmi male davanti a tutti. Non è successo, ma quel senso di nausea misto ad
un nodo alla gola per il pianto, mi ha accompagnato per tutto il resto della
giornata e proprio non ce l’ho fatta a visitare Birkenau.
FOTO 0001hb
FOTO 0001hc
FOTO 0001hd
FOTO 0001he
FOTO 0001i
All’uscita,
c’è un negozio in cui si possono acquistare libri e materiale sul campo, ma non
ci sono entrata, solo ho voluto leggere la sera un libro, che mi ha prestato il
testimone dello sposo, di un sopravvissuto del campo, un medico ebreo, Miklòs
Nyiszli, che è stato costretto ad assistere il dottor Mengele, numero uno del
campo, ed a vedere le sue atrocità, testimoniandole poi nel libro “Sono stato
l’assistente del dottor Mengele”, dove descrive tutto nei dettagli. Una
testimonianza sconvolgente e terribile, che mi domando come abbia fatto a
portarne il peso per gli anni che ha trascorso dopo, anche se lui ha potuto
riabbracciare vive moglie e figlia.
L’ultima
foto (0002) non è appunto l’ultima, ma ho scelto di metterla alla fine perché
descrive il significato profondo e l’importanza della memoria, ovvero abbiamo
il dovere di imparare dal passato, da Auschwitz, così come da Hiroshima
(parlerò anche di questa città che ho visitato) perché certe tragedie non
avvengano più, e poiché gli uomini purtroppo non hanno ancora imparato, credo
che solo pregando uniti possiamo spezzare le catene dell’odio, della violenza e
della guerra.
Ciao Maria Laura...ho ancora i brividi, leggere quanto hai scritto e'stato come ricevere un pugno nello stomaco...niente di nuovo per me, che pur non avendo mai visitato un campo di concentramento, ho letto moltissimi saggi e romanzi su questa buia e crudele pagina della nostra storia contemporanea. Eppure mentre proseguivo con la lettura mi mancava l'aria e mi sembrava di percepire l'orrore di chi, nei forno crematoi, sentiva arrivare la propria ingiusta, dolorosa e inevitabile morte. Non avrei il coraggio di visitare uno di questi campi, leggerne, guardare foto,film o documentari e'per me già abbastanza doloroso(sai che non sono riuscita a vedere la fine se "Il bambino con il pigiama a righe?) figuriamoci trovarmi sul posto...empatia esagerata o eccessiva immaginazione? Non so di certo sicura vigliaccheria...per fortuna che ci sono le persone come te che hanno il coraggio che io non ho! Grazie Maria Laura per questa bellissima testimonianza che leggendo, ti entra nella pelle e nel cuore ...ciao
RispondiEliminaGrazie per il tuo commento... quella stessa mancanza di aria l'ho provata visitando il campo e soprattutto alcuni luoghi soffocanti, come la cella buia e ristretta dove e' morto s. Massimiliano Kolbe e le camere adiacenti ai forni dove morivano col gas.... l'ho riprovata scorrendo le foto e scrivendo il post, l'ho scritto tutto d'un fiato per testimoniare cose che sapevo ma che vedendo e respirando hanno avuto un impatto forte... quello che mi sconvolge e' sapere che ci sono ancora persone che negano l'Olocausto e i campi e che gli uomini non hanno imparato ancora che la guerra, le torture, le violenze generano solo dolore e lacrime... a presto
EliminaMaria Laura, ti fa onore il viaggio che hai intrapreso e che hai voluto condividere tramite questo post. Oggi in particolare, che per la Memoria è una data fondamentale e triste... E' un tema che mi è stato sempre molto a cuore, sin da piccola dopo aver letto il diario di Anna Frank; l'ho trasformato in un vero e proprio oggetto di studio per la mia laurea, scrivendo una tesi sullo studio della narrativa dell'Olocausto. In quel periodo ho conosciuto gli ambienti ebraici a Roma, sono stata collaboratrice presso l'ANED e mi sono ripromessa più e più volte di intraprendere il tuo stesso viaggio, che alla fine, per svariate ragioni, continuo a rimandare.
RispondiEliminaDunque Ti ho letto con molto interesse e molto trasporto, e con quella nota di commozione interiore che sempre mi accompagna quando mi trovo a riflettere sull'abominio che è stato. Grazie di aver condiviso, di cuore, grazie...