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Ora entriamo nel vivo
di cosa sono veramente le Cure Palliative e queste strutture chiamate Hospice.
Innanzitutto bisogna
dire che, nonostante i progressi scientifici, la medicina non sempre riesce, e
può, curare tutte le malattie, ma anche quando non si può curare la malattia,
si può, e si deve, aver cura della persona malata, assistendola nella sua
globalità fino a quello che sarà il suo termine naturale; ciò non significa,
come spesso si pensa ed ho sentito riguardo alla parola palliativo, non fare nulla, al contrario, dal momento in cui una
malattia viene definita incurabile dalla moderna scienza medica alla morte c’è
un tempo, variabile per durata, in cui intercorrono una serie di sintomi e
problemi che vanno affrontati, controllati, limitati e, ove possibile, risolti,
per migliorare la qualità di vita della persona malata.
Il vero fallimento
della medicina non è non riuscire a curare la malattia, perché la nostra vita
va naturalmente verso la morte, ma è un malato che muore urlando dal dolore o
nella solitudine di una rianimazione, magari attaccato a macchine e fleboclisi,
con tubi e aghi che escono dal corpo straziato dalla malattia - perché non si
trova il coraggio di dire basta a quello che, come viene definito, accanimento
terapeutico - oppure che muore nella solitudine
della propria casa o nell’ambulanza, tentando ricoveri con la vana speranza di
evitare l’inevitabile, oppure, ancora, si fa un’esplicita richiesta di
eutanasia, considerandola l’unica risposta al dolore totale, mascherandola
dietro parole come pietà, dignità e libertà, praticandola, laddove lo stato lo
consente, anche ai bambini, ma che è paura e incapacità di accettare, e di
lenire con i mezzi a disposizione, la sofferenza propria o altrui. Ebbene le
Cure Palliative nascono per rispondere, ed evitare, a tutto questo, per
migliorare, e ridare, la qualità di vita dei pazienti terminali, con
un’assistenza globale e specifica attraverso un’èquipe multidisciplinare
altamente specializzata e formata,
avvolgendo e mettendo al centro il paziente, proprio come un mantello (da qui
deriva il termine pallium), e la sua
famiglia.
La parola terminale nell’uso comune fa pensare
solo al paziente negli ultimi giorni/ore di vita, per questo spesso si ricorre
alle Cure Palliative tardivamente o con perplessità, mentre per migliorare la
qualità di vita è importante fare una scelta consapevole ed informata ed agire
appena viene definita la malattia inguaribile.
Le Cure Palliative:
- Affermano
la vita e considerano la morte come un evento naturale;
- Non
accelerano né ritardano la morte;
- Prevengono
e controllano il dolore e gli altri sintomi;
- Offrono
un’assistenza globale, gratuita e continuata a pazienti e
familiari, integrando gli aspetti psicologici sociali e spirituali
dell’assistenza.
Le Cure Palliative si
possono attuare sia al domicilio del paziente sia in strutture apposite, definite
Hospice, che rappresentano un’alternativa all’ospedale (dedito
principalmente ai casi acuti o alla fase diagnostica e terapeutica) ed alla
casa, nei casi ove non è possibile, per svariate ragioni, assistere tali
pazienti. Gli Hospice non vanno confusi, come la parola inglese sembra
richiamare, con gli ospizi o, ancora peggio, con i cronicari, infatti la
permanenza può essere temporanea e l’ambiente è di tipo familiare, non c’è, o
non ci dovrebbe essere, limite di orario, proprio per offrire a questi pazienti
ed ai loro cari un luogo tranquillo dove poter accompagnare il processo del
morire, assistiti da personale qualificato e con le migliori cure disponibili,
che rispettino la dignità della persona malata e soddisfino i suoi bisogni.
Vorrei spendere alcune
parole per sottolineare l’importanza, da parte innanzitutto del medico, della comunicazione
informata, aperta al paziente ed alla famiglia, rispetto alla sterile e
vuota informazione, cercando, innanzitutto, di capire ciò che la persona malata
sa e vuole realmente sapere e quindi rispettarla ed accompagnarla in questo
percorso. Per quella che è stata la mia esperienza di cinque anni come
infermiera palliativista, al malato, nonostante tutte le bugie o mezze verità
che gli sono dette, è lo stesso suo corpo a far comprendere e scorgere segni
inconfondibili di un cammino senza ritorno, anche se lo nega, lo combatte,
fugge… Il cammino di accettazione della morte è lungo e difficile ed è stato
ben analizzato dalla psicologa americana Elisabeth Kubler-Ross, nella sua lunga
esperienza con i malati inguaribili, e descritto in cinque fasi principali
(negazione, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione), diverse per
ogni individuo. Ne consegue quanto sia fondamentale essere adeguatamente
formati e preparati per assistere i malati inguaribili.
Concludendo sottolineo
che è molto difficile accettare, sia per chi lo vive sia per i familiari (ma
anche per i medici), che, come si sente spesso, non c’è più nulla da fare per guarire, si vorrebbe sempre tentare nuove
strade, sentire nuovi pareri, provare nuove terapie (anche alternative e
improbabili, spesso trovate su internet, ne ho sentite di tutti i tipi,
l’ultimo un farmaco fatto in Brasile col veleno di serpente!) o interventi,
senza talvolta nemmeno fermarsi a considerare se gli svantaggi sono superiori
ai vantaggi, spaventati e spinti da un naturale desiderio di vivere, o di
salvare i propri cari, anche arrampicandosi sugli specchi, tutto pur di non
arrendersi alla ineluttabile verità che è arrivato il momento di morire o di
lasciar andare il proprio caro.
Anche io, persino dopo
la morte di mio padre, quando ormai era accaduto e tutto finito, per mesi sono
andata in giro con la cartella clinica, chiedendo ai medici perché era successo
e se si poteva far qualcosa per evitarlo, anche io mi sarei arrampicata sugli
specchi per impedirlo, ma non si può impedire la morte, possiamo solo
vivere pienamente fino a quel momento, evitando di sprecare tempo prezioso in
cui, invece, si può e, ribadisco, si deve, far molto per migliorare la qualità
di vita della persona malata nel tempo che le rimane, facendola soffrire il
meno possibile, sostenendola, aiutandola e circondandola del nostro amore e
della nostra presenza, che fanno meglio di qualsiasi farmaco.
Conosco gli Hospice...ho assistito mia mamma, due anni fa, per 42 giorni in un Hospice. Allora ero solita dire che mia mamma ha ricevuto un miracolo"il miracolo della morte"...se leggerai questo link capirai perché...
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