Questa esortazione di Papa Francesco risuona nel mio cuore e da
qui vorrei iniziare la mia riflessione. Papa Francesco conosce bene il cuore
dell’uomo, le sue miserie ed i suoi bisogni più profondi, compresi quelli che
restano inascoltati, e questo perché è un uomo consapevole di se stesso e
totalmente aperto agli altri, non dimentichiamo che, pur essendo vescovo, in
Argentina, a Buenos Aires, prendeva i mezzi pubblici per stare a contatto
diretto con la sua gente e la sera andava a trovare i suoi poveri, è un uomo
che non ha paura di incontrare l’altro, anche nella povertà più profonda come
quella delle favelas e che
continuamente invita i nostri sacerdoti a fare lo stesso, a prendere coraggio
ed andare incontro alle persone lì dove si trovano, senza attendere che siano
loro a venire nelle Chiese, così come Cristo passava per le strade della
Galilea e andava incontro alle persone, senza lasciarsi condizionare dal loro
stato (adulteri, lebbrosi, malati, poveri, ciechi…), un uomo veramente libero
che andava incontro alle pecore perdute
della casa d’Israele (Mt 10,6 e 15,24), senza distinzione alcuna, che
appartenessero o meno al suo popolo, rispondendo ai loro bisogni primari. Se potesse
Papa Francesco farebbe così, e in parte lo fa ove possibile, uscirebbe dal
Vaticano e incontrerebbe le persone comuni nella strada, fermandosi a parlare
con ognuno, ascoltando, benedicendo, incoraggiando e donando la sua tenerezza,
la tenerezza di Cristo, a tutti, specialmente ai poveri, identificandoli non
solo con le persone senza mezzi, ma a tutti i poveri di spirito, alle persone che hanno perso la speranza, alle
persone inaridite dalle esperienze di vita, ai poveri nell’anima, a quelli che
credono di aver tutto e si sentono a posto così, a tutti noi. Non potendolo
fare ha incaricato il suo elemosiniere pontificio di farlo, il vescovo polacco
Konrad Krajewski, con le parole bellissime <Non sarai un vescovo da scrivania, né ti voglio vedere dietro di me
durante le celebrazioni. Ti voglio sapere sempre tra la gente. Tu dovrai essere
un prolungamento della mia mano per portare una carezza ai poveri, ai
diseredati, agli ultimi. A Buenos Aires uscivo spesso la sera per andare a
trovare i miei poveri. Ora non posso più: mi è difficile uscire dal Vaticano. Tu
allora lo farai per me> (fonte “A sua immagine” rivista settimanale n.
51 del 28 dicembre 2013). Ancora il Papa parla di portare la sua carezza, la
tenerezza appunto, e anche aiuti concreti a chi ne ha bisogno.
Quando ho ascoltato l’esortazione di Papa Francesco all’inizio
ho provato stupore, ma poi ho compreso quanto fosse vera per me e per tutti. Incredibilmente
abbiamo più bisogno delle cose che ci spaventano maggiormente, cose che
sembrano così naturali, scontate, ma non è così. Nel messaggio natalizio, il
Papa ci ha invitato a sostare davanti al Bambino Gesù nel presepe e di
lasciarci toccare da Lui, di lasciarci commuovere <non abbiamo paura di questo! Non abbiamo paura che il nostro cuore si
commuova! Ne abbiamo bisogno…> e ancora <lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; abbiamo bisogno delle sue
carezze. Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e
forza. Dio è grande nell’amore… Dio è pace…Lasciamoci commuovere dalla bontà di
Dio fonte “A sua immagine” rivista settimanale n. 52 del 4 gennaio 2014). Mi
ha colpito la sottolineatura che le carezze
di Dio non fanno ferite, perché in sé la carezza non produce ferite, ma
evidentemente Papa Francesco conosce le ferite del cuore dell’uomo, sa che la
nostra fragilità umana è grande e che, nonostante le buone intenzioni, siamo
mancanti di tenerezza gli uni verso gli altri tanto quanto ne siamo bisognosi,
sa che l’amore umano è debole, incostante, volubile, quando non è radicato nel
profondo e ben aggrappato alla fonte dell’amore che è Gesù Cristo e che quindi
produciamo e riceviamo ferite, più o meno profonde, solchi sul cuore che fanno
male e che spingono a chiuderci, a mollare, ad andare via, e quegli abbracci,
quelle carezze, quei baci che ci hanno risollevato, curato, riempito di amore e
di tenerezza aprendoci all’amore, ora fanno male, perché traditi, delusi,
abbandonati; per non parlare di quelle mancanze di sincerità ed autenticità
nelle relazioni, negli affetti, nell’amore, solo per prendere, per godere di un
fugace attimo di piacere e che lasciano più vuoti di prima e feriti gli altri.
Papa Francesco ci invita ed esprime la tenerezza anche nei
gesti, oltre che nelle parole (Gc 2,26 la fede senza le opere è morta), egli
abbraccia e bacia i malati, i bambini, gli anziani, lasciandosi toccare in
prima persona dal mondo emotivo dell’altro, avendo il coraggio di rischiare e
uscire da se stesso per incontrare l’altro, perché sa che solo così entri in
contatto profondo con l’altro, solo così sai che stai amando davvero e lasci
una “piccola” traccia indelebile di tenerezza nel cuore di chi ami, ma anche
nel tuo. Tutta la catechesi di Papa Francesco è un invito ad uscire per
incontrare l’altro, alla sobrietà, a riscoprire e mostrare la tenerezza, a non
lasciarsi rubare via la speranza, ad invocare incessantemente la pace, a
cominciare dalle nostre famiglie, a prendersi cura dei bambini (commoventi le
parole dette ai bimbi malati durante la visita all’ospedale Bambino Gesù <Vi ringrazio per i vostri sogni e preghiere
che avete raccolto in questa cesta: li presentiamo insieme a Gesù. Lui li
conosce e conosce quello di cui avete bisogno. Gesù ha con voi un legame
speciale, vi sta sempre vicino> ), valorizzare gli anziani (<importanti nella vita della famiglia per
comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni
società>), a condividere i propri beni ed a rifiutare la cultura dello
scarto, del relativismo, della morte.
Profonda tenerezza e commozione ho provato quando ho letto le
sue considerazioni sul Papa emerito Benedetto XVI, la risposta più eloquente
alle critiche ingiuste che gli rivolgono da più parti (tanto chi vuole
criticare e disprezzare lo fa con tutti indistintamente da ciò che dicono o
fanno) e le riporto per riallacciarmi alla tenerezza: <L’ultima volta che ci sono stati due o tre papi insieme non si
parlavano ma lottavano per vedere chi era il vero papa. Io a Benedetto XVI
voglio tanto bene, è un uomo di Dio, un uomo umile, un uomo che prega. Sono stato
tanto felice quando è stato eletto Papa, e poi abbiamo visto il suo gesto delle
dimissioni… per me è un grande. Adesso abita in Vaticano e c’è chi chiede: ma
non ti ingombra? Non ti rema contro? No, per me è come avere il nonno saggio in
casa. Quando in famiglia c’è il nonno, è venerato e ascoltato. Benedetto XVI
non si immischia. Per me è come avere il nonno a casa, è il mio papà. Se ho una
difficoltà posso andare a parlargli, come ho fatto per quel problema grosso di
Vatileaks… Quando ha ricevuto i cardinali il 28 febbraio per accomiatarsi, ha
detto: tra di voi c’è il nuovo Papa al quale io prometto fin d’ora la mia
obbedienza. È un grande!> (fonte “A sua immagine” rivista settimanale n.
53 dell’11 gennaio 2013).
G.M.2
Ciò che dovrebbe essere naturale non lo è, le parole di Papa
Francesco, oltre ad essere belle, suonano tanto straordinarie perché noi
abbiamo dimenticato il valore dell’altro, viviamo ognuno in mondi ristretti, isolati, abbiamo dimenticato che l’altro non è nemico, ostacolo,
ma dono, abbiamo dimenticato la ricchezza che c’è nell’incontro con l’altro,
persino quando ci è più vicino o legato per vincoli di sangue. Lo dimostrano i
tanti anziani soli, maltrattati o ignorati, mi ha colpito l’altro giorno
leggere sull’ANSA (i telegiornali, con il loro modo ansiogeno di trasmettere le
notizie e di dare priorità, anche per limiti di tempo credo, alle cattive
notizie, sono troppo pesanti da seguire per me) che i ladri entrando in una
casa hanno trovato solo un’anziana di 90 anni, tanto atterrita che, dopo averla
comunque derubata, l’hanno tranquillizzata e sono andati via; probabilmente era
ancora autosufficiente, altrimenti sarebbe finita in casa di riposo, come due
signore che conosco, piuttosto che accoglierla in casa, troppo fastidio, troppo
disturbo, per la vita di figli che vanno sempre troppo di corsa per comprendere
che, rispetto alle modifiche e aggiustamenti nella propria casa e vita
familiare, il dono e l’aiuto che rappresentano i nonni sono superiori, intanto,
per fare un esempio, potrebbero guardare loro i nipoti, anziché pagare un’estranea,
aiutare nel fare spesa e le commissioni e, qualora non più autosufficienti,
dare e ricevere tanto amore.
Io ho condiviso la mia camera, alternate a seconda dei periodi,
con le mie nonne ed averle in casa, noi che siamo sempre stati soli, era una
grande risorsa e gioia, quando tornavo sfinita dalle lezioni trovavo un pasto
caldo, ascolto e un sorriso, anziché provvedere a farmi un panino o rinunciare
a mangiare per sprofondare nel letto. Ho amato molto i miei nonni e ancora oggi
mi, e ci, mancano, e quando mia nonna materna si è ammalata è rimasta con noi
fino all’ultimo finchè non è stata ricoverata d’urgenza in ospedale dove è
morta (durante il mio turno di tirocinio notturno), per addome acuto per
complicazioni alla dialisi peritoneale che faceva a casa.
Vorrei concludere con un esempio che descrive perfettamente i
bisogni delle persone e degli anziani in modo particolare. Nonostante non ami
molto i social network, mi sono iscritta a Twitter per seguire l’account del
Papa e poi per diffondere il blog, ma ho dovuto ricredermi, perché ho trovato
una comunità molto attiva e tante belle persone, che non conosco personalmente,
ma che mi arricchiscono con una frase, un pensiero, una citazione, una
preghiera, ed ho avuto ancora prova che il Signore usa tutti i mezzi per farci
arrivare una parola e la sua tenerezza, Lui è il Dio che cammina con noi e in
mezzo a noi, quindi lì dove siamo Lui si trova e si fa trovare, senza imporsi, perché
ci ama e rispetta molto la nostra libertà, anche se mal indirizzata.
Ebbene su Twitter ho trovato un messaggio di una signora che mi
ha commosso e mi ha fatto comprendere quanto abbiamo bisogno tutti di
tenerezza, che si esprime soprattutto nel contatto, nel toccare l’altro e
lasciarsi toccare: una carezza, un abbraccio, un bacio… Io ho scoperto tardi la
meraviglia del contatto e quanto il calore di un abbraccio, specie se
inaspettato, ti può guarire nel profondo, ti consola, scioglie la corazza di
protezione, le barriere che le nostre difese hanno edificato, il ghiaccio che
imprigiona le tue emozioni, il tuo cuore e Dio solo sa quanto mi manca quell’abbraccio
di quella persona speciale…
Il messaggio della signora diceva che lei amava molto gli
animali, ma che vedeva e leggeva tanti messaggi per curare e salvare gli
animali, ma non altrettanta attenzione verso gli anziani e concludeva con
queste parole <anche loro si lasciano
accarezzare, provate…>. Forti queste parole e quanto mai vere, solo perché
avanti negli anni, con le rughe (o con le
righe come dice il nipotino di una mia amica di 75 anni), la pelle
raggrinzita e tanta esperienza sulle spalle, non significa che il loro bisogno
di affetto e di contatto sia diminuito, anzi, semmai è maggiore e più
consapevole, forse per questo tanti nonni si lasciano facilmente raggirare da
persone disoneste che li trattano, apparentemente, con tanta gentilezza. Probabilmente
molti di loro non sanno esprimere questo bisogno di affetto, considerazione,
calore umano, che si portano dentro, un retaggio culturale descrive la
tenerezza come segno di debolezza per cui veniva negata o repressa, come la
spontaneità e i gesti d’amore, ma possiamo andare controcorrente e re-imparare
la tenerezza e le manifestazioni d’affetto. Ricordo una catechesi di 11 anni fa
in cui il sacerdote ci disse <dovete
smettere di essere figli ed imparare ad essere genitori>, nel senso di
non rimanere incastrati nei bisogni non soddisfatti, nelle speranze deluse,
nelle attese disilluse di un abbraccio da parte dei nostri genitori
anaffettivi, non per scelta ma per educazione ricevuta e cultura, e di andare
noi incontro a loro <vuoi un
abbraccio? dallo tu per primo>, imparando ad amare e ad esprimere l’amore.
Ascoltiamo e seguiamo gli inviti che Papa Francesco ci rivolge e
riscopriamo il valore della tenerezza, non temiamo quello che viene dal
profondo del nostro cuore e non lasciamoci frenare dalla paura del rifiuto, dai
fallimenti, dalle ferite che portiamo, dai condizionamenti interni ed esterni,
usciamo da noi stessi e andiamo incontro all’altro e scopriremo, magari, che ha
gli stessi nostri bisogni e desideri e pure le stesse paure. Facciamo quel
primo passo che costa fatica e prendiamoci cura gli uni degli altri, partendo
dalle persone di casa nostra, come dice Papa Francesco, dai nostri amici, per
poi rivolgerci all’altro che non conosciamo. Approfittiamo di questo tempo di
crisi per aprirci e non per chiuderci, per riscoprire valori come solidarietà,
accoglienza, incontro, ascolto, sostegno, tenerezza e rivoluzioniamo, iniziando
da noi stessi, attraverso piccoli passi
possibili (come ho imparato da
Chiara Corbella Petrillo) questo mondo in cui viviamo.
A presto cari amici con i prossimi post e scrivetemi per raccontarmi le vostre
riflessioni, testimonianze, esperienze, commenti,…e, se vorrete, li posterò sul
blog per coltivare e diffondere la
speranza.
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