Un po’ di chiarezza


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In questo post apro un po’ il bagaglio della mia esperienza professionale e vi parlo un po’ di quella che, per me, è stata la più significativa, arricchente e coinvolgente: le cure palliative.

Non intendo parlare dei particolari del mio lavoro, ma chiarire un po’ quei dubbi e la confusione che riguarda questo tema e che, da paziente, mi è capitato di ascoltare nelle sale d’attesa, tra una visita ed un esame o al telefono, da amici e conoscenti che non lavorano in ambito sanitario. Lo faccio perché ritengo opportuno comprendere meglio una branca della medicina di cui in televisione o alla radio sentiamo spesso parlare, ma che non è da tutti conosciuta ed anche contribuire, nel mio piccolo, a far sì che questo passaggio, qualora sia necessario, avvenga nel modo più naturale possibile e non che le persone ci si trovino dentro per necessità senza capire bene di cosa si tratta.

Prima di entrare dentro questa branca, vorrei fare un po’ luce su quella che è una "moda" che in ambiente sanitario, soprattutto privato, ma non solo, è ormai cristallizzata, ovvero di cambiare l’abito (il nome) alle strutture a seconda del boom del momento. Naturalmente mi riferisco principalmente alla realtà che conosco meglio, quella laziale, ma non credo sia legato a determinati confini territoriali. Con il termine boom intendo riferirmi a quella tipologia di pazienti che sembrano andare per la maggiore in quel dato periodo, e sottolineo sembra, perché le patologie sono quelle, le incidenze possono più o meno variare, ma i bisogni assistenziali semmai sono aumentati, specie in un ambiente, quello sanitario, che da molto tempo è in crisi e risente della crisi: mancanza di fondi (e fondi rubati qua e là!), carenze di personale, contratti precari, aumento e differenziazione della popolazione, calo nascite e aumento degli anziani, incremento dell’immigrazione, che comporta ritorno di malattie che da noi non si vedevano più per differenti protocolli, e disponibilità, vaccinali, lunghe liste di attesa (che spingono le persone – quelle che se lo possono permettere - a rivolgersi al privato), pronto soccorso intasati, strutture nuove non funzionanti ed altre che chiudono, insomma cose che sappiamo più o meno tutti. Tuttavia, a seconda del momento, se ci fate caso, avevamo un certo numero di strutture deposte alla lungodegenza per anziani, dopo riconvertite in RSA (Residenze Sanitarie Assistite), quindi ancora in strutture per la riabilitazione motoria e, ora, in hospice, e non sempre questo cambiamento esterno è accompagnato da uno interno (dirigenti, medici, infermieri, ..), semmai giusto con qualche inserimento ad hoc, ma senza una specifica formazione che, in tutti gli ambiti, ma ancor più nelle cure palliative, è richiesta e necessaria, caricando tutto il peso sulla buona volontà e sulla necessità di lavorare del personale addetto, vi lascio immaginare le conseguenze…

Per fare qualità, termine che sta in bocca a tutti, spesso a scopo di propaganda, occorre formazione specifica, e con aggiornamenti continui, personale medico e infermieristico qualificato, e in numero adeguato al numero di assistiti - se ci sono 3 infermieri su 48 pazienti non si può certo fare qualità, si fa il necessario, si lavora per compiti, e non per obiettivi, di corsa, perché il turno dura 7 ore e ci devi far rientrare tutto, con il rischio potenziale di sbagliare, e certo non curi, diciamo così, l’estetica, quindi addio comunicazione, ascolto, sostegno, informazione, educazione sanitaria, ecc - inserimento di altre figure professionali (nel caso delle cure palliative per es. operatori socio-sanitari, psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti, terapisti occupazionali, assistente spirituale, amministrativi e volontari) e di attività collaterali, strumenti e farmaci in quantità idonea e, laddove la struttura lo consente, turn over degli operatori con programmi di supervisione. Comprendete bene che per realizzare un’assistenza di qualità occorrono i fondi e che, una volta trovati, vanno anche usati per realizzare questo programma, e quindi un’assistenza di qualità, ma se si pensa principalmente agli utili e si lavora minimizzando i costi, sottopagando gli operatori puoi fare qualità? No, al contrario, dimostri che non te ne importa nulla.

Questo lungo preambolo per dire: fate bene attenzione, miei cari amici, quando siete costretti a ricorrere ad una struttura per richiedere assistenza, cercate una struttura veramente specialistica per il problema che avete, non cercate quella più vicino casa, ma quella migliore da un punto di vista qualitativo, anche se dovete andare lontano e, se non sapete a chi rivolgervi, chiedete, informatevi presso il vostro medico di base innanzitutto (che non è “solo”, come sento spesso, quello che vi serve per le ricette rosse, poi andate qua e là buttando soldi dalla finestra), che è il vostro principale riferimento medico, poi amici, colleghi, parenti, che certamente avranno un’esperienza che può esservi di aiuto.


Io credo, e mi auguro, che se la scelta di tutti noi viene fatta in base a certi criteri di qualità, allora anche le strutture, e i dirigenti, se non vogliono chiudere, si dovranno adeguare, migliorando i loro standard formativi, assistenziali e qualitativi.

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