Discernimento



Per comprendere la nostra vocazione occorre un periodo, più o meno lungo, di discernimento, in cui mettersi in ascolto della voce del Signore e liberarsi di una serie di sovrastrutture che nel tempo abbiamo costruito, inoltre, come ha detto Papa Francesco bisogna avere un cuore aperto alle sorprese. Credo che sia per tutti un travaglio, per me lo è stato, e lo è ancora, sicuramente.

Fare silenzio fuori di noi è più o meno semplice, basta ritirarsi in un luogo tranquillo, ma far tacere le voci dentro è un altro paio di maniche, anche perché nel momento in cui devi ascoltare solo quella voce si scatena un frastuono tale che rischi di perderti dentro, come se venissi catapultato all’improvviso in un concerto di heavy metal (è davvero musica quella?) e questo perché qualcun altro non vuole minimamente che tu la ascolti e, ancor meno, che la segui. La preghiera è il momento principale in cui puoi realmente discernere quella voce da tutte le altre.

Nel 2006 sentii incessantemente una domanda, la stessa che Gesù ha rivolto ai suoi: < Chi sono io per voi? > e dovevo rispondere, non potevo più ignorare quella domanda per cui come primo passo, grazie al suggerimento di padre Enzo, scelsi di ritirarmi in un convento di clausura delle clarisse. Il mio tormento nasceva dal desiderio di comprendere innanzitutto quale fosse la mia vocazione e, con essa, la missione personale affidatami dal Signore, quindi di aderirvi totalmente per servirLo così come mi chiamava a farlo.

Se avevo paura? Si, molta, ma ne avevo ancor più di perdere il Signore e di mancare il bersaglio di tutta la mia esistenza. La paura che tentava di trattenermi indietro era quella che spesso accomuna tutti noi, in realtà fondata su una menzogna, secondo cui il Signore poteva chiedermi e togliermi quello che per me era importante.

Ma può il Signore della vita, che ci crea solo per amore, fare qualcosa che ci possa rendere infelici? Assolutamente no, il Signore viene nella nostra vita per donarle pienezza di senso e di gioia e se ci toglie qualcosa sicuramente non ne abbiamo bisogno oppure ci farebbe solo male, quindi non lasciamo che il diavolo ci inganni e stiamo in guardia perché batte molto su questa menzogna, trasformandola in modo tale da renderla davvero credibile, ricordiamoci invece che è solo lui che vuole la nostra infelicità e la nostra morte.

Pur avendo sentito tante volte degli inganni e delle menzogne del maligno, il tempo maggiore del mio ritiro di dieci giorni è stato tutto incentrato in questa battaglia, appena con la grazia di Dio ne superavo una, eccone un’altra. Le suore mi avevano riservato una stanza nella foresteria del convento, non potevo accedere alla clausura, ma vivevo la giornata di preghiera con loro, io in chiesa, loro dietro la grata, ma in una tale comunione spirituale che la avvertivo a pelle, io parlavo soprattutto con l’Abbadessa, suor Chiara, ma tutte loro pregavano per me e mi sostenevano con tenerezza ed un amore materno profondo che mi commuoveva, inoltre la sera si fermavano per farmi compagnia dopo la cena e prima della preghiera di Compieta. La sveglia era molto presto con l’Ufficio delle Ore (composto da invitatorio – lodi – ora media – vespri - compieta) quindi una breve pausa prima della s. Messa e la colazione. Anche i pasti li consumavo in una saletta da sola, ma non mi sentivo mai sola. La mattina loro erano impegnate nei vari lavori, io tornavo in chiesa con la Bibbia, un quaderno, una penna e scrutavo, pregavo, combattevo, piangevo. Le suore non mi dicevano nulla, ma tutte si erano accorte della mia sofferenza e si preoccupavano molto per me.

Non posso entrare nei particolari, anche perché riguardano la mia vita e non vi sarebbero di aiuto, ma anche io ho fatto, nel mio piccolo e dopo un lungo combattimento, l’esperienza che fece il profeta Elia sull’Oreb, come narrato nel primo libro dei Re al capitolo 19, 4-12 < Egli s’inoltro nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: “Alzati, mangia!”. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli  disse: “Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: “Che cosa fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita”. Gli disse: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera >.

Durante quel ritiro ho attraversato, mano nella mano col Signore, tutte queste fasi, finchè alla fine, sfinita, uno degli ultimi giorni, nel momento di pausa tra le lodi e la s. Messa, ho ascoltato nel cuore quel sussurro di una brezza leggera, nel profondo del mio cuore si è ripetuto un dialogo tra il Signore e la mia anima attraverso le parole che avevo scrutato e sentito tante volte, quelle del dialogo tra Gesù e Marta un attimo prima della risurrezione di Lazzaro, solo che stavolta ero io a dover rispondere al posto di Marta, con la mia libertà, quindi le cose potevano andare diversamente (Gv 11,25-27): < Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi (tu) questo?”…> udii la mia anima rispondere queste parole: < SI, SIGNORE, IO CREDO CHE TU SEI IL CRISTO, IL FIGLIO DI DIO >…

Poi una luce interiore sulla mia vita ed ho compreso dove era il mio posto, non tutto, solo quanto potevo accogliere in quel momento, il Signore non ci rivela mai tutto e subito, perché ci schiaccerebbe non essendo in grado di portarne il peso, ma ci prepara e segue istante dopo istante e ce ne svela un pezzetto piccolo per volta, sempre se lo vogliamo, non ci forza in alcun modo, teneramente propone, sta a noi rispondere ed aderire, solo un si, da ripetere ogni giorno, tutto il resto lo fa Lui, eppure quel si costa una fatica, siamo proprio de coccio

Una luce ed ho avuto il coraggio di fare la mia scelta, la sofferenza e il dolore come avevano fatto parte del mio percorso fin lì ancora mi avrebbero accompagnato, e mi accompagnano, così come attraversano la vita di ogni uomo, ma la croce è meglio portarla con il Signore e seguendo Lui, che trascinarsela appresso come un peso opprimente, non credete?

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