Oggi vorrei parlarvi di una Comunità che ho conosciuto a Medjugorje e proporvi alcune testimonianze che ho ricevuto il permesso di pubblicare (anche se vi segnalo il link per visitare il sito http://www.comunitacenacolo.it/index.asp?idlingua=1).
Madre Elvira ebbe l’ispirazione di fondare la Comunità nel 1983
sulla collina di Saluzzo, in provincia di Cuneo, in Piemonte, per raccogliere
il grido di disperazione di tanti giovani, drogati e non, che avevano perso il
senso vero della vita e si trovavano, come molti giovani e meno giovani ancora
di più oggi, spenti, stanchi, insoddisfatti. A suor Elvira si sono uniti
gratuitamente volontari, consacrati, famiglie che, fidandosi della Provvidenza
di Dio, spendono il loro tempo a questa opera, riconosciuta dalla Chiesa come
Associazione di fedeli.
Io ho conosciuto e visitato la Comunità nella sede di
Medjugorje, ma vi sono altre sedi nel mondo. La vita comunitaria è di tipo
familiare e si svolge attraverso due attività principali: lavoro e preghiera.
La cosa che inizialmente mi ha colpito era proprio quello di non
essere una comunità di recupero e riabilitazione di tossicodipendenti così come
professionalmente ero stata abituata ad intenderla e così come anche voi potete
immaginarla, ovvero un gruppo di ragazzi e ragazze, raccolti da varie parti del
paese, che condividono la stessa pena, la tossicodipendenza, ma ognuno con la
propria storia, e che fanno periodicamente incontri, individuali e di gruppo,
con psicoterapeuti, medici, ed hanno dei tutor di riferimento, non vedono le
famiglie e che assumono, almeno nella fase iniziale di disintossicazione, il
metadone.
La Comunità Cenacolo usa solo questi due, chiamiamoli così,
metodi: lavoro e preghiera e lo scopo non è solo quello di liberare i giovani
da una dipendenza, bensì di guarirli nel profondo, facendoli ritrovare nella
relazione primaria col Padre celeste e nelle relazioni tra di loro, nella
Comunità e nella famiglia di origine. Ogni giovane che arriva, dopo aver fatto
una serie di colloqui preliminari, con le sue ferite, i suoi traumi, i suoi
peccati ed il suo bagaglio di esperienze, viene accolto come persona
innanzitutto, come figlio da suor Elvira, con amore e questa esperienza si
rinnova nei giorni di comunità, anche se il percorso non è certo facile, tante
maschere devono cadere, ferite da liberare dal pus e curare, ed in questo
percorso ogni giovane è affiancato da una figura tutoriale, che si chiama angelo, ovvero una persona che ha già
fatto quel percorso ed è stata ritrovata dall’amore di Dio.
Io non conosco da vicino famiglie con figli con problemi di
tossicodipendenza, ma consiglierei a chiunque di rivolgersi alla Comunità
Cenacolo, in quanto non ho visto solo dei giovani liberati da un problema, ma
persone risorte e ritornate a vivere in pienezza, con uno sguardo provato dalla
sofferenza e dalla croce, ma luminoso e vivo.
La vita nella Comunità è semplice, spartana oserei dire,
scandita dal lavoro, dalla preghiera, dalla condivisione, dall’amicizia e dal
sacrificio: ricordo i ragazzi raccontare di dover ognuno lavare i propri panni
a mano con sapone e acqua fredda, di avere orari regolari e delle regole, come
quella di non fumare (cosa che per rispetto è chiesto anche ai visitatori),
imparano a fare lavori di artigianato (che poi vendono nel negozietto interno
per ricavare fondi), ma anche musica e teatro (ogni anno fanno spettacoli
gratuiti per i pellegrini a Natale e durante il Festival dei giovani che
ricorre in genere la prima settimana di agosto – questo dal 31 luglio al 6
agosto). I ragazzi della Comunità aiutano anche i disabili, i malati, gli
anziani, che non possono autonomamente, a salire sulla collina delle
apparizioni a Medjugorje e sul monte della croce, cosa che non è semplice,
considerando che sono rocciosi e impervi, faticosi già per salirvi
singolarmente, immaginate in gruppo con una sedia apposita e una persona
dentro!! La comunità ha anche delle missioni in Brasile, Messico, Perù, Africa,
ecc., con vari progetti che vi invito a visitare e sostenere sul sito, ed una
rivista chiamata Risurrezione, il cui
nome esprime pienamente l’esperienza di questi giovani.
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