Uno dei primi problemi che s’incontra nella relazione con Dio, una volta che non si hanno più dubbi sulla sua esistenza, è rimuovere dalla testa tutte le immagini distorte che per anni abbiamo avuto al Suo riguardo, sembra una cosa semplice e ovvia, ma non è così, perché riguardano anni della nostra vita, esperienze, anche dolorose, che hanno in qualche modo avallato queste immagini distorte.
Il mio percorso di fede è iniziato con il catechismo come tutti
i bambini, in un ambiente molto tranquillo, una parrocchia semplice, che
soltanto da pochi mesi ha ricevuto in dono la sua chiesa ed il complesso di
uffici, ma che fino a poco prima di Natale ha avuto sede in un prefabbricato
con vicino un campo da calcio e siamo stati ospitati per quarant’anni nella
chiesa di un convento di suore nel quartiere. Da bambina ero tremendamente
riservata e non ho vissuto molto bene i primi anni delle elementari e del
catechismo, invece mi sentivo perfettamente a casa nella chiesa, con dietro
l’altare un immenso ritratto della Vergine Maria, Madre della Misericordia, tra
le nuvole, con un bellissimo Bambino Gesù in braccio, coi riccioli d’oro, e
intorno tanti angeli, i più piccoli in alto e i più grandi a gruppi di due ai
lati inferiori al letto di due santi in punto di morte, uno s. Luigi Gonzaga e
l’altra non ricordo. Mi sentivo così bene tra quelle mura e andavo alla messa
anche da sola, ma non a quella dei bambini, bensì alle 8.30 la domenica
mattina, quella degli anziani, o la sera con mamma. La mia timidezza non mi
faceva esporre più di tanto, ma l’arzilla e impettita suora sacrestana mi
cercava e rincorreva per farmi fare il chierichetto (con i capelli a caschetto
sembravo un maschio), non che non mi piacesse servire, ma stare vicino al
sacerdote con tutta quella gente davanti mi mandava nel panico, tanto che una
volta stavo per far fare la consacrazione con solo l’acqua, non ci stavo
capendo più niente, così mi nascondevo dietro le persone o in fondo, ma lei,
pur essendo bassa di statura (è ancora uguale!), mi beccava sempre per farmi
fare qualcosa. Un po’ per timidezza e un po’ per starmene al riparo mi sedevo
sempre in fondo, vicino alla porta, tanto che il mio parroco di allora, don
Aldo, mi chiamava l’angelo della porta,
ed io ho sempre apprezzato la capacità che aveva di leggermi dentro anche se
parlavo poco e di non dirmi di andare più avanti, come facevano le cosiddette
pie donne, lasciandomi nel mio angolo.
Dopo la mia formazione parallela a quella scolastica, non avendo
il carattere espansivo non ho proseguito con il Movimento Ragazzi successivo
alla Cresima, anche se continuavo ad andare alla messa domenicale, però il
rapporto con Dio era cambiato, da piccola ci parlavo tutte le sere e dalla
terza elementare sono stata trasferita, ad anno scolastico già iniziato per
problemi con un’insegnante che mi aveva preso di mira, nella scuola cattolica
delle Suore Domenicane e loro mi hanno insegnato tutte le feste mariane e
trasmesso un amore forte per la Vergine Maria, con loro mi ero iscritta alla
Gioventù Mariana ed avevo partecipato a progetti di adozioni a distanza in
Guatemala, dove ogni bimbo adottava una sorellina, la mia si chiamava Azucena e
le suore mi avevano spiegato che in quel paese c’era stata una guerra civile e
che lei era stata trovata sotto il corpo morto della sua mamma e si era salvata
perché creduta morta. Ero una bambina delle elementari, ma la dolcezza con cui
le suore ci spiegavano fatti tanto orribili mi aiutò a sopportarne il peso. Con
i nostri fratellini e sorelline dell’orfanatrofio nella missione delle suore
iniziò una corrispondenza scritta con letterine, foto, tramite le suore, ancora
conservo due foto, ma con la fine della scuola elementare non ho avuto più
notizie, anche se restai nell’istituto per le medie e le superiori. Ho
splendidi ricordi degli anni trascorsi in quell’istituto, le suore ci insegnarono
il rosario, a confessarci regolarmente, ad andare a messa al primo venerdì e
sabato del mese, ma anche a cantare nel coro, a fare saggi di ginnastica e di
teatro, a giocare alla pesca, a fare piccoli lavori manuali e, nelle pause, a
giocare in modo semplice e creativo, ma la cosa per cui sono maggiormente grata
è l’amore verso Maria, la Madre di nostro Signore e nostra, figura centrale di
tutto il mio percorso verso Dio.
Con il diventare maggiorenne e l’inizio del corso per infermieri
non avevo molto tempo per Dio, eccetto la domenica e festivi, per cui pur
essendo la fede un aspetto importante per me e potevo coltivarlo comunque
avendo scelto una scuola cattolica, ero totalmente assorbita tra le lezioni, il
tirocinio e gli esami, furono tre anni molto impegnativi, allora la scuola
infermieri non era universitaria come adesso, con periodi alternati di lezioni e
di tirocinio e dove si dava più peso alla teoria che alla pratica, e lo dico con
cognizione di causa, avendo incontrato tante studentesse appena laureate che non
sapevano mettere un catetere vescicale al loro primo giorno di lavoro, tanto per
fare un esempio, noi dovevamo andare la mattina o il pomeriggio alle lezioni e l’altra
metà della giornata, a seconda se eri in turno di mattina o di pomeriggio, a tirocinio
e studiare la sera o nelle pause pranzo, trascorse sul prato dell’ospedale quando
c’era il sole o a casa nei giorni di pioggia, perché avevamo gli esami subito terminata
la materia e parliamo di infiniti appunti e tomi da studiare e a tirocinio non eravamo
studentesse affidate a un tutor, ma allieve, praticamente forza lavoro e dovevi
scegliere tu da chi imparare e chi seguire, perché la mole di lavoro era talmente
tanta che di seguirti e insegnarti non c’era neanche il tempo.
La morte di mio padre, avvenuta in aprile, durante il mio primo anno
di corso ha influenzato la mia fede, non tanto per l’evento in sé, come ho detto
non avevo tempo e questo mi aiutò a non pensare all’inizio, anche se mi domandavo
fosse normale salutare tutti al funerale con il sorriso, per nulla forzato, solo
che la gente mi si buttava addosso in lacrime e a me veniva da consolarli, da minimizzare
quel dolore sordo che, in realtà, non riuscivo bene a sentire, a provare, e mi veniva
seriamente da ridere (è dovuto trascorrere un anno intero prima di farmi un bel pianto), tanto che sarò sembrata scema, poi mi sono buttata nel tirocinio
e nel corso per stare meno possibile a casa, dove la differenza si sentiva, era
evidente, finché si è ricoverata mamma per un mese per una
broncopolmonite e ci sono dovuta stare per forza, ero la maggiore, e non
avevamo nessuno, nonna era ammalata e allettata in camera mia, i miei fratelli
avevano la scuola, l’altra nonna era lontana, i parenti di mamma fuori Roma e
quelli di papà volatilizzati, per cui sono rimasta indietro col tirocinio e sono
andata solo alle lezioni. In quei tre anni non avevo nemmeno il tempo di
mettermi a discutere con Dio, ma ora so che ci è stato vicino, perché
diversamente non ce l’avremmo fatta.
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