Vocazione: due facce della stessa medaglia


Ci accomuna tutti la chiamata all’amore, ma come questo amore si realizza nella nostra vita è differente, seppur con la medesima caratteristica dell’esclusività, della radicalità, perché il Signore fa le cose per bene e fino in fondo, è in gioco la nostra felicità e la vita eternità, non si può giocare o fare finta.

La chiamata ad amare può prendere due direzioni principali nei Sacramenti del matrimonio e dell’Ordine. Possiamo amare Dio attraverso l’amore per un uomo o per una donna che il Signore dona oppure amare Lui in modo esclusivo nella consacrazione. Nel titolo di questo post ho detto che la vocazione all’amore comprende due facce della stessa medaglia, perché la fonte dell’amore è Dio, Lui dona quell’amore e, nella nostra risposta, attraverso noi a Lui ritorna, Lui è sempre e comunque al centro sia nel matrimonio sia nella consacrazione, vorrei riportare per far comprendere meglio questo passaggio le parole di Enrico Petrillo (tratte sempre dal libro “Siamo nati e non moriremo mai più”): < Se riconosci che solo in Dio puoi amare, devi amare Dio più di tua moglie, più di tuo marito. Se cerchi la consolazione nell’amore di una persona che ti sta vicino, stai  prendendo una strada sbagliata. Perché la consolazione te la deve dare solo il Signore, poi, se il Signore vuole, ti dona la sua consolazione attraverso qualcuno >. Se mettiamo noi al centro, non solo sbagliamo strada, ma rischiamo anche di veder fallire il matrimonio, perché noi uomini siamo fragili e soggetti a fare molti errori e per produrre frutto dobbiamo rimanere uniti alla fonte dell’amore, che è Dio, ed attingere da Lui la grazia ogni giorno.

Durante l’omelia a s. Marta del 7 ottobre scorso, prendendo sempre spunto dalle letture, porta l’esempio del profeta Giona, che aveva ricevuto da Dio la missione di andare a Ninive per profetizzare e che invece fugge ripetutamente dal Signore e dalla sua missione, finché, intervenendo nella storia, Egli lo riprende e lo porta a compiere quello per cui lo ha chiamato e, grazie alla sua profezia di pentimento e conversione, gli abitanti vengono graziati da Dio, provocando lo sdegno di Giona dinanzi alla Sua bontà ed alla Sua misericordia. Papa Francesco vede nella pigrizia spirituale e nel suo non voler essere disturbato nella sua vita, così come egli l’aveva pensata, la causa della fuga di Giona e del suo non voler ascoltare la voce del Signore, pericolo che tutti noi corriamo. Questo problema possiamo incontrarlo anche nella chiamata più importante del Signore, quella ad amare.

Il Papa ha insistito in più occasioni sull’importanza e sulla necessità di fare scelte definitive e sulla paura che oggi attraversa la vita di molte persone, che scendono a livelli inferiori attraverso una serie di compromessi “per non restare soli”, attraverso convivenze e fidanzamenti lunghi di anni e poveri di sostanza, che però non possono che lasciare insoddisfatti e vuoti.

Durante l’incontro con le coppie di fidanzati a piazza s. Pietro il 14 febbraio scorso, Papa Francesco ha espresso molto bene (leggete il documento integrale del suo discorso http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2014/february/documents/papa-francesco_20140214_incontro-fidanzati_it.html ) quelle che possono essere le paure, i dubbi, riguardo al pronunciare il SI per sempre, non solo nel matrimonio ma anche nella consacrazione sacerdotale. Partendo dalla domanda: è possibile amarsi per sempre? Papa Francesco ha voluto puntualizzare cosa è l’amore, ovvero non un sentimento, per sua stessa natura volubile, ma una relazione, una realtà che cresce e che va costruita insieme sulla roccia dell’amore di Dio, su cui puntare in modo definitivo scartando l’imperante cultura del provvisorio che ci circonda, e che il mondo promuove in ogni modo e occasione col motto < niente dura per sempre >, sicuramente vero se non si centra la propria vita sulla roccia che è Cristo Gesù preferendo la sabbia incostante della nostra volubilità.

Molto bello il passaggio in cui dice che nel matrimonio non conta tanto la durata temporale, ma la qualità, quella che si costruisce nell’affidamento quotidiano al Signore attraverso i piccoli passi possibili (come mi suonano familiari!), imparando ad amarsi per sempre ogni giorno coltivando la preghiera, reciproca e insieme, portando quella tenera modifica al Padre nostro dicendo < dacci oggi il nostro amore (anziché pane) quotidiano >. Passando a livello concreto, come ci sta abituando spesso, ha dato anche delle parole chiave da ripetere spesso nel matrimonio, così come aveva detto alle famiglie: Posso/permesso – grazie – scusa. Entrare nella vita dell’altro con rispetto e attenzione, con cortesia, riconoscere quanto l’altro fa per noi e ringraziarlo e fare verità in noi stessi per primo e poi con l’altro del male fatto e chiedere perdono, il Papa invita a non andare mai a dormire arrabbiati, ma riconciliarsi e fare pace. Sembrano passaggi scontati della vita quotidiana delle famiglie, ma in realtà non sono facili e costano fatica, perché richiedono quell’abbassarsi, quell’umiliarsi cui non siamo propriamente disposti. Il Papa è entrato, attraverso una domanda fatta, anche nel merito della preparazione al matrimonio, che non deve curare tanto i segni esteriori come il banchetto, gli invitati, i vestiti, i fiori, prediligendo una cerimonia sobria che dia risalto al vero significato della cerimonia: la benedizione di Dio sugli sposi e sul loro amore che produce la vera gioia. Il Papa ha concluso il suo intervento esprimendo il senso del matrimonio: il marito deve fare più donna la moglie, la moglie più uomo il marito, in una crescita, arricchimento e maturazione costante e reciproca che è visibile e testimonianza per tutti. Un percorso non certo facile, ma bellissimo.

Nella consacrazione al sacerdozio o religiosa, uomini e donne si donano completamente al Signore per tutti noi e non è una perdita, ma una realizzazione piena e felice, come ho visto e posso testimoniare nelle suore clarisse di clausura che ho conosciuto direttamente, ma anche in molti sacerdoti e suore che ho incontrato nel mio percorso. L’Abbadessa mi aveva confidato di essere entrata in convento a 11 anni ed erano, se non ricordo male, trascorsi 40 anni, eppure i suoi occhi esprimevano una luce ed una gioia che difficilmente ho visto in altre persone, era davvero felice e pienamente donna, pienamente madre, pur non avendo generato nella carne, solo il Signore può fare un capolavoro come questo di ogni vita.

Ho spesso sentito critiche al celibato “obbligatorio” dei sacerdoti cattolici, addirittura ritenendolo causa dei casi di pedofilia e di abbandono del sacerdozio, consigliando di far prendere alla Chiesa Cattolica la scelta di quella protestante, con i pastori che possono anche sposarsi ed avere figli. Dissento completamente da queste critiche, sarebbe come dire che la causa del divorzio è l’esclusività del matrimonio: un peccato resta un peccato e non si devono addurre delle giustificazioni.

La pedofilia è un abominio, un orrore, e non ha alcuna attenuante e va trattato come tale e se ci sono stati casi non vanno associati alla Chiesa Cattolica, come se l’appartenenza ad essa fosse una concausa, ma queste persone vanno allontanate e perseguite per legge e, se questo non viene fatto in piazza, come ha scelto Benedetto XVI, quando tra il 2011 e il 2012 ha ridotto allo stato laicale circa 400 sacerdoti accusati di pedofilia, è perché non è da Papa (e da persone veramente cristiane) mettere alla berlina delle persone, anche se si sono macchiate in modo tanto grave, e soprattutto per tutelare dall’attenzione dei media le vittime, ma il problema è stato affrontato con grande serietà e dolore, anche da Papa Francesco, che ha imposto l’esilio dalla Scozia al cardinale Keith Patrick O’Brien, autoaccusatosi per spiegare il motivo per cui non poteva entrare in Conclave, inoltre ha istituito la Commissione per la protezione dei minori.

Il paragone tra sacerdozio cattolico e pastori protestanti è fuorviante e inconsistente, perché sono due realtà totalmente diverse non accostabili, anche se non sono la persona più adatta per parlarne, per cui vi rimando ai vostri sacerdoti, consigliando anche la lettura della bellissima Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, che esprime la gioia del loro ministero.

Il celibato nel sacerdozio non è un obbligo, ma un dono per tutti noi, in quanto i sacerdoti sono alter Christi, le cui vite sono spezzate sugli altari delle chiese e per le strade del mondo per noi, che a loro siamo stati affidati, per l’amministrazione dei Sacramenti, la guida ed assistenza spirituale, vite veramente fin troppo impegnate, visto il numero inferiore rispetto al bisogno, e donate a Dio per noi ed il nostro compito non è di giudicare, condannare, ma di accompagnare e sostenere con la nostra preghiera quotidiana, perché sono soggetti a tante prove, attacchi e tentazioni dal maligno, che, facendo cadere un sacerdote, mira a disperdere ed allontanare il gregge a lui affidato, comprendete quindi quanto debbano essere sostenuti dalla nostra preghiera. Preghiamo senza stancarci.

Commenti

  1. alle 22.46 del 13/03/2014 ANTONELLA RUSSO ha commentato:

    condivido quanto scrive Laura, grazie e davvero continuiamo a 'pregare senza stancarci' ...buona notte, Antonella

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