In una sera piovosa
e gelida mi trovavo alla Stazione Termini in attesa di un taxi per tornare a
casa, ero di ritorno da un ennesimo viaggio per visite mediche, stremata ed
infreddolita come non mai, aggrappata al braccio di mia madre, c’erano altre
persone in fila e lo sguardo si è posato con tremore sulle persone senza fissa
dimora “sistemate” per la notte all’entrata della stazione.
So che sono tante e
le ho viste spesso, in fila per mangiare alla Caritas, fagotti anonimi sulle
panchine, altri nelle baracche, altri in “case” di fortuna fatte di scatole e
stracci, altri ancora, come Ivan, un clochard del mio quartiere morto
all’improvviso sotto Natale di oltre un anno fa, con il suo carrello su e giù.
Quella sera però
era particolarmente gelida e non potevo non pensare a come facevano a stare lì
e che al posto loro sarei morta, mi sono chiesta cosa dava loro la forza di
stare stesi lì, sui cartoni, l’uno vicino all’altro, gente di diversa età e
colore, accomunati dalla stesso bisogno, dalla stessa povertà.
Dio benedica in
modo speciale tutte i volontari che si organizzano per distribuire pasti e
bevande calde ai senza tetto insieme ad una stretta di mano e un ascolto
sincero e disponibile e spero che sempre più persone scelgano di dare un po’
del proprio tempo per questo tipo di volontariato.
All’improvviso
alcuni ragazzi, poco meno o poco più che maggiorenni, vestiti alla moda, con i
jeans a bracaloni che lasciano intravedere gli slip (e questa sarebbe moda? Non
è nemmeno salutare, specie con quel clima rigido e umido) e giubbotti di pelle
e la camminata alla rapper americani, arrabbiati e violenti, dal modo con cui
hanno picchiato contro i telefoni pubblici e una struttura adiacente, con cui
urlavano frasi incomprensibili, sotto lo sguardo di molte persone, che si
guardavano bene dall’intervenire, anche io avevo paura, niente di nuovo se
uscivano coltelli a serramanico, e continuavo a girarmi nella direzione del
camion dei carabinieri, sperando in un loro intervento, infatti quelli si sono
allontanati mentre si avvicinavano tre carabinieri, giovani anche loro, che si
sono messi a seguirli.
Il contrasto tra i
senza fissa dimora stesi sui cartoni e quei ragazzi che avevano forse tutto, ma
sembravano aver voglia solo di guai, è stato forte, come il desiderio di lasciare
la mia bella e sempre meno sicura città, sventrata qua e là da cantieri che sai
quando iniziano e mai quando, e se, finiscono, con negozi che continuano a
chiudere e quartieri che cambiano faccia e abitanti, sempre più traffico e con
persone di corsa…
Ero congelata e
spaventata, anche per mia madre, ma avrei voluto gridare: < Hei ragazzi, la vita non è un gioco e
nemmeno roba da bulli spacca tutto! Vi annoiate? Fate qualche passo più in là e
guardate… la vita è dura, preziosa, faticosa, un’avventura da spendere bene e
per cose grandi! >.
Naturalmente è
stato un pensiero, io non so nulla di quei ragazzi, per quanto ne so potevano
avere gravi e tanti problemi familiari, avevano preso botte a raffica o non so
quale altro dramma, ma non credo ci sia giustificazione valida alla violenza,
al bullismo, allo spaccare beni pubblici e spaventare in gruppo le persone, per
rubare o violentare, eppure penso a don Bosco che vedeva del bene e del
potenziale bene in ogni ragazzo che incontrava per strada e che non si lasciava
spaventare dai bulli di allora, riuscendolo a far emergere quel bene; penso a
don Oreste Benzi che con la sua comunità ha salvato tante ragazze dalla strada
e dalla violenza, e ancora lo fanno i suoi; penso a Chiara Amirante (dedicherò
dei post a lei più avanti), che giovane ragazza andava di notte, sola, alla
Stazione Termini a portare il Vangelo ai giovani, ai tossici, ai senza tetto ed
ha continuato a farlo e lo fa ancora con la sua associazione Nuovi Orizzonti,
leggete questa sua straordinaria esperienza nel libro “Stazione Termini”, uno
tra i tanti scritti da lei, molto significativi, che lessi tempo fa e mi colpì
molto, come le testimonianze che ho ascoltato da lei, molto forti quelle da lei
raccolte in tanti anni, un grande coraggio il suo, come una grande fede, al suo
posto non avrei avuto nessuna delle due tanto da andare, allora come adesso,
sola alla stazione.
Il libro di Chiara,
don Oreste e don Bosco non testimoniano le tenebre, anche se le hanno
attraversate per incontrare chi era perduto, ma la speranza, il bene che è
davvero presente in ognuno, anche in chi all’apparenza non sembrerebbe, si sono
fatti portatori di luce ed hanno dato testimonianza alla Luce vera, Cristo
Signore, e questa è una missione che ci riguarda tutti e non possiamo solo
raccontare a noi stessi che non è così, voltandoci dall’altra parte, che non
facciamo nulla di male e che abbiamo altre cose cui pensare, perché un giorno
ci verrà chiesto conto di tutto il bene che avevamo la possibilità di fare e
non abbiamo fatto e cosa risponderemmo?
Certo a non tutti
noi verranno chieste esperienze come quelle di Chiara, ma ognuno di noi è
chiamato a fare cose grandi e, come diceva il Beato Giovanni Paolo II, a fare della nostra vita un capolavoro. Riflettiamoci
seriamente…
Su Google plus ANTONELLA RUSSO ha commentato: bella, grazie!
RispondiEliminaSu Google plus PAOLO SOTTILI ha commentato: Se c'è bullismo la colpa e' solo della famiglia che non ha dato una vera guida ai loro figli ma li ha trascurati e lasciati soli a se stessi
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