Vorrei riflettere con
voi sulla chiamata che ci riguarda tutti di testimoniare la nostra fede con la
vita e nella vita e vorrei farlo iniziando proprio dall’invito che la Chiesa,
per mezzo del sacerdote, ci rivolge alla conclusione della celebrazione eucaristica: < Andate
in pace…>. Credo corriamo il rischio di fraintendere queste parole e di
nasconderci dietro la risposta automatica che diamo, come purtroppo accade,
senza penetrare fino in fondo il significato di ogni parola che siamo invitati
ad ascoltare e pronunciare durante l’Eucaristia, un esempio comune è quando
sentiamo rispondere, e forse anche a noi è scappato qualche volta durante un
momento di distrazione, amen appena
udite le parole per Cristo Nostro Signore,
una parola chiave che indica grazie a Chi tutto si compie nella vita, tanto da
costringere i sacerdoti a dire per Cristo
Signore nostro.
Il rischio è di
fermarci al rendiamo grazie a Dio
detto superficialmente e di tuffarci immediatamente nel mondo fuori le mura
della chiesa convinti di aver esaurito il nostro compito, il nostro dovere, il
nostro precetto (detesto questa parola, in quanto evoca un dovere noioso da
assolvere per forza e non l’invito gioioso che il Signore ci fa a partecipare
all’Eucaristia), insomma che il più è fatto e, purtroppo, prima di incontrare
personalmente il Signore, anche io facevo spesso questo errore e non sono la
sola, ho conosciuto diverse persone così, che solo per il fatto di avere
presenziato alla messa si sentono a posto, sono bravi
cristiani e credono di avere il passaporto per il Paradiso, ma non funziona
così, e meno male altrimenti il Paradiso sarebbe un posto solo per i “buoni”.
Quando la Chiesa ci
invita “andate in pace” ci invia nel
mondo per vivere e testimoniare quel che abbiamo ricevuto durante la
partecipazione eucaristica, ne conviene che per poter dare qualcosa dobbiamo
prima riceverlo e per riceverlo dobbiamo aprire il cuore e rimanere col
Signore, resistendo col Suo aiuto a tentazioni, distrazioni, preoccupazioni, che
aumentano senza misura proprio per allontanarci dalla meraviglia che siamo
chiamati a vivere. Noi abbiamo ricevuto il dono della fede perché il Signore ci
ha chiamato e guidato, non certo perché siamo migliori degli altri o per i
nostri meriti, ma per la Sua grazia ed è importante che ne siamo consapevoli,
altrimenti rischiamo di fare i pavoni in giro (meno attraenti però), e se il
Signore non ci tiene per la mano, sicuramente cadremo ed a volte, per il nostro
bene, permette che accada e una volta capitombolati, fa come i genitori con i
bimbi che fanno i capricci perchè vogliono far da soli e li lasciano senza però
mai perderli di vista e restando sempre pronti a riprenderli e coccolarli per
la piccola bua.
Una volta compreso che
il Signore mi ha parlato, mi ha scelto, mi ha donato la sua grazia e mi ha
donato una missione, anche se non avevo ben chiaro, nemmeno ora comprendo tutto
in verità, quale fosse, è scattato automaticamente il problema del “che cosa
devo fare?”, devo consacrarmi? Devo andare in missione in Africa? Devo… devo…
devo… come se il problema dipendesse da me e dalle mie scelte, come se tutto il
peso fosse sulle mie spalle, ancora non avevo ben chiaro che la questione non è
“fare”, ma “lasciar fare”, ovvero
fare spazio alla volontà di Dio, essere e rimanere un canale aperto del Suo
amore, imparare attraverso quei piccoli
passi possibili a camminare con Lui, e questa per me è la parte più
difficile, una sfida continua, accettando di non capire tutto e subito, di
rinunciare ad avere il controllo, ed imparando a fidarmi davvero di Lui e del
Suo progetto d’amore per me, continuando ad approfondire il rapporto con Lui attraverso
la Parola e la Chiesa e cercando di penetrare i fatti della mia storia
personale, anche la nascita di questo blog è frutto di questo percorso e vive
di un cammino docile allo Spirito Santo, il grande Maestro interiore cui mi
tengo aggrappata con la preghiera.
Concludendo restiamo
saldamente uniti al Pastore e andiamo dove Lui ci conduce testimoniando e dando
ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto,
non rimbambendo gli altri di parole, ma con la vita, ciò che ha cambiato la
vita a noi è l’esperienza di amore gratuito del Signore, il suo accoglierci
come siamo, senza giudicarci, punirci, ma ridonandoci la libertà di essere noi
stessi, veramente noi stessi, non l’immagine che avevamo di noi, perdonandoci,
ascoltandoci, amandoci, ebbene così siamo chiamati a fare con gli altri, quello
che è poi il comandamento che il Signore Gesù ha ridonato in modo nuovo, col
Suo esempio di vita < Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così
amatevi anche voi gli uni gli altri >. La Santa Messa che viviamo
dobbiamo continuare a viverla anche fuori delle quattro mura, in una continuità
d’amore, chiedendo insistentemente la grazia di essere testimoni coerenti,
autentici, per non allontanare nessuno col nostro comportamento, con i nostri
giudizi, con le nostre paure, vivendo per primi il dono ricevuto dell’amore di
Dio.
Su Google plus alle h 0.37 GIULIANA SCHIAVINATO ha commentato:
RispondiEliminaMi consolo, vedo che non sono la sola ad avere queste incertezze, Ma come dici tu teniamoci aperti e lasciamoci guidare da Dio. PACE
La convinzione principale che si dovrebbe avere è quella di essere dei servi inutili, perché i comandamenti che abbiamo ricevuti questo attestano, ed in ogni nostra considerazione dovrebbe essere acclusa, anche se sottintesa, la seguente frase: umile servo di Dio.
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