Martiri della notizia e della sanità


Il 19 agosto un giornalista statunitense, James Foley, è stato brutalmente ucciso davanti ad una videocamera per diffonderne l'atroce gesto, vantandosene anche, con una freddezza che fa spavento e orrore, ma con questo post non intendo dedicare spazio ai brutali assassini, ma a James Foley ed a tutti quegli uomini e quelle donne che rischiano la vita in zone di guerra per due nobili cause: dare la notizia e assistere la popolazione che soffre e muore per la guerra.

I nomi e i volti di medici e infermieri che mettono ogni giorno in pericolo la propria vita per svolgere al meglio la propria professione non si conoscono, ma voglio omaggiarli e ringraziarli tutti, perché non sono squilibrati o uomini che vogliono fare gli eroi, ma persone come noi che accettano il rischio ben sapendo che senza di loro uomini, donne, anziani e bambini non avrebbero alcuna possibilità di salvezza, accettando la possibilità concreta di non poterli salvare tutti e l'impotenza davanti ad eventi più grandi di loro, contro cui non possono nulla se non il fare del loro meglio nelle condizioni in cui si trovano ad operare e con le risorse disponibili.
Estendo l'omaggio e la gratitudine anche a tutti coloro che spendono la loro vita nelle zone calde e rischiose dell'Africa, nelle missioni, negli ospedali di fortuna, nelle zone dove si sta diffondendo l'epidemia di Ebola, nelle baraccopoli e in tutte le zone dove è richiesta e necessaria la loro opera.

(Ilaria Alpi)

I nomi dei giornalisti, fotografi e reporter di guerra sono noti, ma non posso riportarli tutti, ma anche a loro va l'omaggio e la gratitudine del mio cuore. Non sempre ci rendiamo conto o apprezziamo il loro lavoro, pensiamo che vengono pagati bene e che è una loro scelta, magari tutto vero, però lavorano e rischiano la vita per tutti noi, per dare la notizia, per informarci, per portare alla luce eventi e situazioni che, lontano dai riflettori dei media, cadrebbero nel dimenticatoio permettendo a dittatori di mettere in ginocchio le popolazioni, sfruttandole, massacrandole, ... e forse in qualche luogo accade e non lo sappiamo perché non c'è nessuno che possa documentarlo. Il lavoro dei giornalisti, fotografi, reporter, free-lance è veramente prezioso, perché, come riporta nel suo blog il cinereporter italiano Nino Fezza (http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/) una storia non esiste se non viene raccontata.

(Ilaria Alpi e Miran Hrovatin)

L'uccisione di James Foley mi ha molto amareggiato e in poco tempo diverse immagini si sono affollate nella mia mente: l'assassinio di Ilaria Alpi, giornalista del TG3, e del suo operatore Miran Hrovatin, avvenuto in Somalia il 20 marzo 1994, il film Qualcosa di personale (Up close & Personal) e anche il brutale omicidio di un passeggero di un aereo sequestrato non mi ricordo dove e quando, mi sembra a Fiumicino, che vidi quando ero bambina e che mi sconvolse, perché il corpo del povero uomo fu buttato come un sacco di patate dal portellone dell'aereo a terra, con gelida esecuzione. La connessione del primo e dell'ultimo evento sta nella brutalità della decisione di uccidere a sangue freddo vite umane, il film è del 1996 del regista Jon Avnet con due straordinari Robert Redford e Michelle Pfeiffer e descrive proprio la professione di giornalisti, compreso il rischio della vita, infatti il personaggio interpretato da Redford viene ucciso in un attentato a Panama. Nel discorso finale la Pfeiffer esprime il motivo della professione di giornalista: dare la notizia, informare. Grazie a questi nuovi martiri della notizia e della sanità.

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