La sottile linea rossa: il cuore della riflessione

(immagine presa dal web)

Dopo aver accennato alla disciplina che si interroga sull'inizio e sul fine della vita di ogni persona, la Bioetica, e aver dato le definizioni delle tematiche che intervengono principalmente sul fine vita, ora provo ad addentrarmi con voi su quell'invisibile confine in cui si muovono le decisioni e le responsabilità dei medici, non per far pesare colpe su di loro, ma per far comprendere che quelle che a tavolino, lontano da tutte le componenti emotive, sembrano decisioni facili ed ovvie da prendere, in realtà non lo sono per niente.

Nel 2003 il Comitato di Bioetica ha approvato il Documento sulle direttive anticipate di trattamento (potete trovarle all'interno di questo file pdf alla pagina 65), ma la premessa è quella di disporre della vita come fosse un oggetto che ci appartiene, ma la vita non è un oggetto, è un dono, qualcosa che non abbiamo scelto all'inizio e che non possiamo rifiutare alla fine, ci è affidata per custodirla e prendercene cura, fino al suo termine naturale, che non sta a noi stabilire, né per la nostra vita né per la vita degli altri. I credenti sanno che la vita è dono di Dio, i laici sanno che la vita li precede e che continuerà senza di loro per leggi che possono riferire alla natura. Lo so non è facile comprendere ed accettare questo, noi tutti tendiamo umanamente ad appropriarci dei doni e a disporne come proprietà (il corpo - utero, vita, figli - è mio e decido io) ed è vero che abbiamo la libertà di decidere, tuttavia affinché sia una scelta consapevole, in qualunque direzione porti, dobbiamo avere tutte le informazioni relative, i vantaggi, gli svantaggi, le prospettive a breve, medio e lungo termine, le conseguenze, e così via ed ogni scelta è personale, può essere condivisa con la famiglia, concordata con i medici, sostenuta da psicologi, direttori spirituali, personale infermieristico, ma alla fine solo noi possiamo decidere, nessuno può farlo per noi, arrogandosi il diritto di sapere cosa è meglio per noi, anche quando siamo impossibilitati a prendere autonomamente delle decisioni.

Perché parlo di sottile linea rossa, tanto invisibile quanto impercettibile, ma concreta e reale? Quando siamo davanti a problematiche che intervengono sull'inizio e sul fine vita entrano in gioco tanti di quegli aspetti che condizionano le nostre scelte: spirituali, psicologici, educazione ricevuta, il nostro vissuto diretto e indiretto di esperienze più o meno dolorose, ecc. 
Parlando delle dichiarazioni anticipate di trattamento sul fine vita queste esprimono il diritto sacrosanto di ogni persona di decidere a quali trattamenti vuole o non vuole essere sottoposto qualora si trovasse impossibilitato a formulare la propria decisione portando il medico a fare tutto il possibile per salvaguardare la salute del paziente, per curare e prendersi cura di lui meglio possibile, ma queste dichiarazioni escludono tutte quelle pratiche che contravvengono alle leggi in vigore, alle norme della buona pratica medica, alla deontologia del medico e certo non impongono al medico pratiche che, secondo scienza e coscienza, egli non può accettare.

Negli USA, e nei telefilm medici lo incontriamo spesso, è in vigore il documento firmato dal paziente, preventivamente informato di tutto, riguardo al non procedere con tecniche di rianimazione e/o pratiche volte solo a prolungare artificialmente la vita: provo a fare un esempio che aiuti a comprendere, un paziente oncologico in fase terminale o un paziente affetto da SLA arriva in pronto soccorso perché si sente male e i familiari chiamano l'ambulanza, i medici arrivano e valutano che il paziente è in condizioni critiche, questo è uno di quei casi limite in cui bisogna prendere decisioni veloci, i medici constatano la gravità e il rischio di morte imminente della persona per evoluzione naturale della sua malattia, parlano con i familiari cercando di comprendere le volontà del malato, se ha lasciato detto qualcosa che li aiuti a decidere il da farsi e può andare in diversi modi:
  1. il malato ha espresso verbalmente, o per scritto, la volontà di non essere rianimato e attaccato alle macchine per prolungare artificialmente la sua vita e i medici rispettano questa sua decisione, non rianimandolo, ma fornendo tutta l'assistenza necessaria fino alla morte naturale (terapia del dolore, idratazione, sedazione in caso di agitazione psico-motoria, assistenza infermieristica), che può essere svolta in ospedale o a casa dando indicazioni ai familiari, comunque sempre circondato dall'amore dei familiari.
  2. il malato non ha espresso alcuna volontà, è il medico che deve decidere: parla con i familiari, spiega loro la situazione, che intervenire significa solo prolungare la sofferenza, non la vita, questi accettano la decisione e tutto si svolge come sopra.
  3. il malato non ha espresso alcuna volontà, il medico parla con i familiari, ma questi non accettano e chiedono che si faccia l'impossibile, il medico decide secondo scienza e coscienza cosa fare e qui può cedere alle pressioni dei familiari e sforare nell'accanimento terapeutico o restare nel prendersi cura meglio possibile per il tempo che resta, l'esperienza del medico conta molto nel prendere la decisione giusta, fortunatamente in ospedale non è solo, può avvalersi dell'aiuto di colleghi e specialisti che lavorano (o dovrebbero lavorare) in equipe.
Questo esempio vale in caso di diagnosi pregressa già accertata, il discorso si fa molto più complicato in caso, ad esempio, di politrauma per incidente stradale, una condizione che purtroppo accade molto spesso, quindi il primo soccorso viene fatto in strada e gli anestesisti rianimatori del 118 devono in tempi brevissimi valutare le condizioni, stabilizzare i pazienti fino all'arrivo in ospedale e qui possono accadere tantissime cose (tempi d'intervento, modalità in cui è stata trovata la persona, o le persone - sbalzata fuori dall'auto, intrappolata nell'auto, ecc - le lesioni riportate,...) e le variabili modificano le probabilità di sopravvivenza, i possibili esiti, le decisioni... ne riparlerò.

Tornando al fine vita, le dichiarazioni anticipate (o testamento biologico) si muovono in un ambito decisionale di questo tipo e per evitare l'accanimento terapeutico, ma non danno il diritto all'eutanasia o al suicidio assistito, come ritenuto da molti.
Un errore di fondo su cui giocano i sostenitori dell'eutanasia e del suicidio assistito è rappresentato dal fatto che mettere fine alla vita quando una malattia è definita inguaribile equivale a mettere fine alla sofferenza fisica e psicologica che questa comporta, ma non è così perché una volta fatta la diagnosi che non si può più curare la malattia e, quindi, guarire, non significa che la scienza medica ha esaurito tutte le sue carte, in quanto entrano in gioco le Cure Palliative e, se fatte da personale esperto e adeguatamente formato e aggiornato, sono la vera risposta alla sofferenza di un malato terminale perché, oltre al controllo del dolore e degli altri sintomi, viene migliorata la qualità di vita di questo ultimo tratto della vita, permettendo alla persona di viverlo serenamente circondato dall'amore dei propri cari.

La morte e il dolore fanno paura a tutti, ma se un malato ancora muore soffrendo in modo disumano, questo è un fallimento medico e assistenziale, per cui, anziché chiedere di morire o di togliere la vita ai nostri cari, pretendiamo le cure migliori e adeguate in grado di rispondere a quella sofferenza e di lenirla in modo efficace, perché ci sono e, se non ci ascoltano, cerchiamo altri specialisti, ormai la cultura delle Cure Palliative si sta diffondendo anche nel nostro paese e ci sono strutture gratuite o convenzionate che le erogano a tutti, se qualcuno chiede soldi rivolgetevi altrove. Riprenderò questo tema più avanti, esplorando altri casi come il coma, lo stato vegetativo permanente ed altri casi limite. Nel prossimo post affrontero' altri temi di confine esplorando un disegno di legge che dovrebbe essere al vaglio del Senato.

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