"Una lacrima mi ha salvato" il libro che racconta la storia di Angèle Lieby


Quando mesi fa ho letto della storia di Angèle Lieby ho ripensato a tutte le storie di persone in coma e/o stato vegetativo permanente che ho incontrato con la mia professione, a tutte quelle vite intrappolate in un corpo che non può, o non riesce, ad esprimere la loro presenza, per cui continuerò col blog a raccontare le loro storie, quelle che apprendo e che ricordo, per tutte quelle che restano nell'ombra, nelle corsie degli ospedali e delle cliniche, nelle case e per tutte quelle che non ci sono più, per fine naturale o provocata da terzi che le ritengono meno vite, o addirittura non vite.

Angèle Lieby, è una donna francese di 57 anni, operaia, che il 13 luglio 2009 avverte una forte emicrania e si reca all'ospedale di Strasburgo, ma i medici non comprendono la causa, intanto lei peggiora velocemente, inizia a parlare e respirare con difficoltà finché perde conoscenza e inizia un lungo calvario, perché i medici sbagliano diagnosi e la intubano facendola cadere in coma farmacologico, dal quale, apparentemente, sembra non svegliarsi più sotto lo sguardo disperato del marito Ray e della figlia Cathy, madre a sua volta di due bimbe. Questo appena descritto è lo sguardo superficiale della vicenda, quello che appare agli occhi di tutti, ma Angèle, come ha poi testimoniato, sente e capisce tutto, anche se non riesce a vedere nulla, sente e comprende la disperazione dei familiari, i medici che l'hanno attaccata alle macchine e la nutrono artificialmente e che le danno zero possibilità di guarigione e si muovono intorno a lei mostrando poca sensibilità e attenzione, prova dolore durante gli esami medici, prova ad urlare, ma la connessione tra interno ed esterno sembra interrotta e lei non riesce a far capire fuori che c'è e che sente tutto, sente anche il medico, che lei ha definito nel libro, dottor sensibilità dire a suo marito il 17 luglio di contattare le pompe funebri, intanto il suo corpo peggiora, sente il marito stringerle la mano ma non riesce a rispondergli.
I medici si fanno pressanti con le loro richieste di staccare le macchine che la tengono in vita, ma il marito e la figlia si oppongono nonostante tutto, mentre Angèle, che ha sentito tutto, prega il Padre nostro, finché accade un evento inaspettato che cambia tutto, che credo legato all'atto di abbandono della donna al Padre: il 25 luglio la figlia Cathy entra in stanza per comunicarle che attende il suo terzo bimbo e che vorrebbe tanto che lei potesse vederlo, a quel punto dal volto di Angèle sgorga una lacrima, una sola, la figlia se ne accorge e chiama i medici, quindi un piccolo movimento del mignolo fa capire a tutti che in quel corpo c'è ancora la vita.
I medici sottopongono Angèle ad altri scrupolosi esami ed arrivano a diagnosticarle la Sindrome di Bickerstaff, l'encefalite troncoencefalica, che è una malattia neurologica rara, post infettiva, che comporta oftalmoplegia (paralisi della muscolatura estrinseca e intrinseca del bulbo oculare), atassia (progressiva perdita della coordinazione muscolare che impedisce movimenti volontari), disturbi della coscienza (sonnolenza, torpore e coma) e iperreflessia (reazione del sistema nervoso autonomo ad un'eccessiva stimolazione con variazioni della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca, pallore, rossore, o colorito bluastro della pelle, e sudorazione). Dalla diagnosi, Angèle ha dovuto affrontare un lungo e difficile percorso di cura e riabilitazione, sostenuta dal marito e dalla figlia, viene staccata dalle macchine e reimpara a parlare, a deglutire, a relazionarsi, a muoversi, il 30 gennaio 2010 esce dall'ospedale e ritorna a casa e il 20 marzo, primo giorno di primavera, esce di nuovo all'aria aperta.
Una volta guarita, Angèle ha voluto raccontare la sua storia e, grazie al contributo del giornalista Hervè de Chalendar, ha potuto farlo in un libro che porta il titolo di quello che lei definisce il suo gioiello, quella lacrima che ha il rimpianto di non aver potuto conservare, e che testimonia la vita che può celarsi anche in quelli che vengono con troppa superficialità e crudeltà definiti "vegetali" e "non essere umani", mettendo in guardia i medici e chiunque sul valore della vita, di ogni vita.

A conclusione del post il video della testimonianza di Angèle al Festival Biblico a giugno dello scorso anno e che ho trovato su YouTube, ecco il link per guardarlo anche da telefono e tablet. Buon ascolto!


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