Bullismo, di ieri e di oggi...


Una mia amica mi ha inviato tramite whatsapp la lettera che il professor Enrico Galiano ha scritto sulla sua pagina facebook scosso dal tentato suicidio di una ragazzina di 12 anni vittima del bullismo, un'altra vittima, un'altra storia di sofferenza che sfocia nel suicidio, grazie a Dio in questo caso non riuscito, perché è rimbalzata su una tapparella che ha frenato la caduta, di una giovanissima di Pordenone schiacciata dalle ripetute offese dei suoi compagni di classe, al punto che, pur di non ritornare in classe, ha scelto di gettarsi dal secondo piano della sua abitazione. 
Prima di riportare per intero la lettera dell'insegnante, vorrei riflettere con voi su questo fenomeno chiamato bullismo che sta assumendo caratteristiche devastanti, visti i casi di violenze e suicidi.

Ognuno di noi potrebbe raccontare la sua esperienza di prese in giro subite a scuola, a catechismo, ai giardinetti, dove piccole/grandi imperfezioni diventavano motivo di sofferenza perché amplificate dalle osservazioni pungenti dei propri coetanei, come il sovrappeso (come per la sottoscritta), il portare gli occhiali, l'apparecchio ai denti, le orecchie a sventola, la balbuzie, il non vestire sempre all'ultima moda, il non potersi permettere quel tipo di scarpe (ai miei tempi andavano le timberland e se non le portavi eri considerato out, fuori dal gruppo), così, anche se magari nemmeno ti piacevano, facevi di tutto per fartele comprare e sentirti accettato dai compagni, oppure per altri mille motivi che ti facevano sentire sempre in ridicolo e non integrato nel gruppo di due/tre bulletti o bullette. Ognuno di noi avrà pianto lacrime amare per essere messo sempre alla berlina o per non sentirsi parte del gruppo, ognuno di noi porta dentro piccole/grandi ferite che hanno segnato la difficile età dell'adolescenza, quando non sei più piccolo ma nemmeno grande, quando abbondano le insicurezze e le paure e la voglia di costruire delle amicizie e di sentirti parte del gruppo, anche se ciò comportava scendere a compromessi o fare delle cose che non piacevano, niente di male, per cui ti adeguavi per compiacere e per piacere agli altri e finivi per non piacere nemmeno a te stesso.
L'adolescenza è un'età complicata, difficile, e se concorrono dei difetti fisici non aiutano a viverla bene, specie se vengono amplificati da chi ti sta vicino, l'ideale sarebbe essere semplicemente se stessi e vivere la spensieratezza degli anni giovanili il più possibile serenamente, ma la verità è che ti stai formando, conoscendo e non hai l'idea chiara di chi sei in realtà, tuttavia comprendere che non è rinunciare a se stessi per compiacere gli altri la via giusta è una buona indicazione, comprendere che tutti, chi più chi meno, abbiamo pregi e difetti, e anche chi sembra fisicamente perfetto, porta dentro insicurezze e fragilità come tutti, accettarsi e cercare di fare del proprio meglio senza criticare, giudicare e prendere in giro gli altri è la strada per vivere una vita serena.

Rispetto alle testimonianze che ognuno di noi adulti di oggi potrebbe raccontare, la differenza è che allora le prese in giro finivano con le ore di scuola e nel pomeriggio avevi modo di distrarti e scaricare la tensione accumulata, ora invece il martellamento dei bulli prosegue attraverso i social network, che, con il fatto di nascondersi dietro lo schermo di un cellulare o di un computer, quasi facilita l'esasperazione di certe espressioni, di certi attacchi e se questi vengono portati da più parti e ripetutamente diventano un peso opprimente per la fragilità di un adolescente, ma sarebbero pesanti anche per un adulto ben strutturato, un esempio è quando certe persone che nemmeno conosci, leggono un tuo messaggio e ti giudicano, attaccano, offendono senza limiti e finché sono uno o due ogni tanto, li gestisci, pur rimanendoci male, ma quando è un continuo diventa pesante, solo che un adulto comprende che può difendersi bloccando quei tipi e prendere le distanze, non ti viene in mente di ucciderti per "evitare" la gente nociva (che tanto puoi incontrare sempre e in ogni luogo e devi saperla affrontare), un adolescente ne resta schiacciato al punto da non saper/poter valutare delle alternative sane, allora bisogna intervenire come famiglia, come scuola, come società per proteggerli, sostenerli ed accompagnarli a superare ogni criticità nella vita e nella relazione con gli altri, per far si che nessun altro ragazzo o ragazza percepisca di essere solo e di non avere altra scelta che suicidarsi, mettere fine a tutta una vita da vivere per le azioni/parole cattive di altri giovani, bulli per noia, per scaricare la propria rabbia, le frustrazioni, per violenze subite o per chissà quale altra ragione, che va certamente indagata e controllata per arginare e mettere fine al fenomeno bullismo ed alle sue molteplici espressioni.

Ora posto la lettera dell'insegnante di Pordenone, Enrico Galiano, che riporto interamente così come è stata scritta e che merita una seria attenzione e riflessione da parte di tutti noi, giovani e meno giovani.

< Oggi una ragazza della mia città ha cercato di uccidersi. 
Ha preso e si è buttata dal secondo piano. 
No, non è morta, ma la botta che ha preso ha rischiato di prenderle la spina dorsale. Per poco non le succedeva qualcosa di forse peggiore della morte: la condanna a restare tutta la vita immobile e senza poter comunicare con gli altri normalmente.
"Adesso sarete contenti", ha scritto. Parlava ai suoi compagni.
Allora io adesso vi dico una cosa. E sarò un pò duro, vi avverto. Ma c'ho sta cosa dentro ed è difficile lasciarla lì.
Quando la finirete?
Quando finirete di mettervi in due, in tre, in cinque, in dieci contro uno?
Quando finirete di far finta che le parole non siano importanti, che siano "solo parole", che non abbiano conseguenze, e poi di mettervi lì a scrivere quei messaggi - li ho letti, si, i messaggi che siete capaci di scrivere - tutte le vostre "troia di merda", i vostri "figlio di puttana", i vostri "devi morire".
Quando la finirete di dire "Ma si, io scherzavo" dopo essere stati capaci di scrivere "non meriti di esistere"?
Quando la finirete di ridere, e di ridere così forte, quando passa la ragazza grassa, quando la finirete di indicare col dito il ragazzo "che ha il professore di sostegno", quando la finirete di dividere il mondo in fighi e sfigati?
Che cosa deve ancora succedere, perché la finiate? Che cosa aspettate? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi?
E poi voi. Voi genitori, si. Voi che i vostri figli sono quelli capaci di scrivere certi messaggi. O quelli che ridono così forte.
Quando la finirete di chiudere un occhio?
Quando la finirete di dire "ma si, ragazzate"?
Quando la finirete di non avere idea di che diavolo ci fanno 8 ore al giorno i vostri figli con quel telefono?
Quando la finirete di non leggere neanche le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale?
Quando la finirete di venire da noi insegnanti una volta l'anno (se va bene)?
Quando inizierete a spiegare ai vostri figli che la diversità non è una malattia, o un fatto da deridere, quando inizierete a non essere voi i primi a farlo, perché da sempre non sono le parole ma gli esempi, gli insegnamenti migliori?
Perché quando una ragazzina di dodici anni prova a buttarsi di sotto, non è solo una ragazzina di dodici anni che lo sta facendo: siamo tutti noi. E se una ragazzina di quell'età decide di buttarsi, non lo sta facendo da sola: una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì non hanno visto, non hanno fatto, non hanno detto.
E tutti noi, proprio tutti, siamo quelli che quando succedono cose come questa devono vedere, fare, dire. Anzi urlare. Una parola, una sola, che è: "Basta".


Commenti