Lettera a mio padre Luigi

(foto personale)

Ciao papà, è tanto che non ti scrivo, che non metto su carta i miei pensieri e le mie emozioni, ma ti porto dentro me sempre, solo oggi non è un giorno qualunque, oggi sono 25 anni che sei andato in cielo, così ti scrivo da questo spazio, uno dei tanti che non ho potuto condividere con te...
Dall'11 aprile 1992 è trascorsa una vita, sembra un milione di anni fa in alcuni momenti, in altri sembra solo ieri... Sei stato presente nella mia vita per 19 anni e manchi fisicamente da molti di più, eppure l'amore non finisce con la morte, nemmeno i legami e i ricordi... mi sei mancato ogni giorno e in alcuni molto di più...
la morte arriva all'improvviso sempre, anche quando sembri preparato ad affrontarla o le condizioni sembrano avvicinarla, come una malattia, un incidente,... quando arriva lo fa senza preavviso, mi ricorderò sempre le parole della figlia di un mio paziente terminale, abbiamo passato giorni, mesi a prepararci al momento della sua morte, ma quando è accaduto ogni piano è crollato, ogni sforzo per rendere l'impatto meno violento possibile è risultato vano, sopraffatta si è gettata sul corpo senza vita del padre, piangendo disperata e non volendo in alcun modo separarsi da lui fisicamente, anche se era già andato via... quando è passato quel drammatico momento, tra le lacrime mi ha detto "sapevo che sarebbe accaduto, credevo di essere pronta, ma finché non è successo davvero non mi sembrava vero"... Per quanto ci prepariamo, o crediamo di prepararci, la morte di una persona amata ci smarrisce, ci sorprende, ci impatta frontalmente e ci fa comunque molto male, se poi arriva che non ne hai la vaga idea è come schiantarsi contro un tir... Papà, tu sei andato via senza preavviso, stavi male, ma niente di che, cefalea, sdoppiamento della vista, sintomi neurologici, febbre, ma nessuno ha riconosciuto i sintomi della meningite durante il primo ricovero in ospedale, dove ti hanno dimesso con la diagnosi di artrosi cervicale, tra l'altro lo stesso ospedale dove svolgevo da pochissimo il mio primo tirocinio di infermiera, un ospedale in cui avevo fiducia, poi a casa hai continuato a non stare bene e abbiamo litigato perché, credendoti depresso, tentavo di scuoterti, di farti reagire, ma tu sentivi che te ne stavi andando, solo non sapevi di cosa, quando l'ambulanza è venuta a prenderti ero offesa e non ti ho salutato, contavo di calmarmi e venire poi in ospedale, un altro ospedale grande della città, ero distante anni luce dalla possibilità che non ti avrei più rivisto, che non avremmo fatto pace, che non ci saremmo potuti salutare... il corso e il tirocinio erano impegnativi, ora chi studia all'università Scienze Infermieristiche ha divisi i momenti di lezione dal tirocinio, ma allora noi andavamo a lezione, o la mattina o il pomeriggio, e poi al tirocinio, se il nostro turno coincideva con la lezione andavamo al corso e l'altra metà della giornata era libera per studiare, altrimenti uscivamo di casa al mattino presto e ritornavamo a sera, d'inverno ricordo che uscivo col buio e ritornavo col buio, era veramente impegnativo mentalmente, fisicamente e psicologicamente, ma lo avevo scelto ed ero motivata e piena di energie, ero stanca ma felice...
l'ambulanza ti ha portato in ospedale di mercoledì, in famiglia avevamo deciso che mamma sarebbe venuta in ospedale e ci avrebbe portato notizie, i ragazzi andavano a scuola, Massimo aveva 17 anni e Andrea 14, io avevo il corso e la nonna materna Amelia, che stava con noi da qualche anno, era malata a letto, comunque contavo nel fine settimana di venirti a trovare, non avevo messo in conto che il tempo stava scadendo. Quando mamma rientrava ci diceva che le cose andavano male ma non c'era ancora una diagnosi, avevi la febbre alta e lei iniziava a capire che, forse, sarebbe accaduto il peggio, probabilmente non ci poteva credere e ci ha protetto da quella che credeva essere solo una sua paura. 
Il corso mi impegnava totalmente, ma ti pensavo e mi sentivo male perché non avevo ancora potuto scusarmi con te, il giovedì la nostra caposala didattica ha voluto affrontare il tema non proprio felice della preparazione della salma, devo dire che mi ha stonato qualcosa dentro, mi sentivo strana, ma era un tema da affrontare prima o poi... quei pochi giorni sono passati velocemente, sabato ci siamo svegliati tutti insieme e di buon umore, io dovevo fare il tirocinio di pomeriggio, ma mi sono alzata presto, abbiamo fatto colazione, scherzavamo, poi sono andata in bagno a prepararmi quando il telefono ha squillato...
Papà quello squillo mi ha gelato il sangue, erano le 9 circa e il telefono può squillare, ma mi sono gelata e paralizzata in bagno, il respiro si è fermato ed ho barcollato, mi sono dovuta aggrappare al lavandino per restare in piedi, sono uscita dal bagno e mamma ha detto che era l'ospedale, che tu eri peggiorato e che dovevamo tutti andare in ospedale...
Siamo intelligenti e sensibili papà, sappiamo fare due più due, allora perché in certi momenti anche un semplice passaggio risulta una scalata impossibile... ci siamo preparati in silenzio, la signora che si prendeva cura di nonna è rimasta con lei e siamo scesi in strada dopo aver chiamato il taxi, mamma ha visto don Aldo, il nostro parroco allora, ed ha attraversato la strada per parlargli, io sono corsa nella clinica di fronte, dove una mia compagna di corso svolgeva il tirocinio per dirle che stavo andando in ospedale e di avvertire che non potevo andare in tirocinio, questa era la motivazione razionale, in verità cercavo qualcuno che mi tranquillizzasse e che mi dicesse che tutto quello che mi stava attraversando la mente come una gelida corrente non era vero, che mi sarei svegliata da quell'incubo fuori programma e che tutto sarebbe andato bene...
Lungo la strada nel taxi mamma ha chiesto all'autista di sbrigarsi perché voleva fare in tempo a vedere suo marito vivo, io ho tentato un'obiezione, ma mi ha zittita, ero proprio lontanissima da quella possibilità, ripetevo "non sappiamo nemmeno cosa ha, come può morire?", assurdo vero?
Quando siamo arrivati al reparto stavano lavando il pavimento del lungo corridoio per cui non potevamo entrare, da lontano la caposala della Neurologia ha visto mamma e le ha fatto cenno di passare, ci ha detto di aspettare e l'abbiamo vista andare in fondo al corridoio, mentre dalla stanza più vicina a noi è uscita un'infermiera con del cotone in mano, di nuovo mi si è gelato il sangue, ma rispondevo alle mie paure dicendo che tu, papà, non eri lì perché mamma era andata in fondo al corridoio... finché mamma non è ritornata da noi pronunciando solo due frasi brevi, separate da una pausa, "è morto"-----"volete vederlo?", i miei fratelli rispondono di si io riesco solo a dire NO, probabilmente più rivolto alla situazione che alla domanda, e come un automa mi giro e vado a telefonare... 
Papà lo so bene oramai, ogni persona reagisce alla morte e al dolore in modo personale, non bisogna mai giudicare le reazioni automatiche, che servono a scaricare le tensioni o a diminuire la pressione del dolore, ognuno reagisce come gli viene ed io ho reagito così, facendo una serie di telefonate per il bisogno di ripetere a voce alta, tentando di farle mie, di capire che quelle parole erano vere, "è morto", all'ultima telefonata mi ha risposto il papà di Stefania, una mia ex compagna e migliore amica di scuola, cui ero legatissima, che mi disse che sarebbe andata a prenderla al corso che stava frequentando per portarla da me, così sono uscita per andarla ad aspettare all'entrata dell'ospedale, mentre camminavo con l'andatura barcollante di chi si regge in piedi per miracolo, il mio sguardo si è posato sugli alberi, sugli uccellini che cantavano, sul traffico delle auto, tutto scorreva come al solito, ma dentro me tutto si era fermato e il contrasto faceva male, ora so che è salutare che tutto vada avanti, anziché assecondare il nostro blocco traumatico, perché ci spinge ad andare avanti in qualche modo, a continuare a vivere...
Prima della mia amica, papà, è arrivato il tuo migliore amico, evidentemente avvisato da mamma, con la moglie, tu lo sai che lei non mi era molto simpatica, eppure quando li ho visti e mi hanno chiesto cosa era successo li ho guardati bloccata, non sapevo come dire al tuo amico più caro che tu non c'eri più, poi quelle parole sono sgorgate all'improvviso insieme alle lacrime... è morto... e sono crollata a piangere tra le braccia di lei, veramente si è rivelata una persona migliore di quello che credevo... quando è arrivata la mia amica con i suoi genitori, loro, vedendo che non ero sola, sono venuti da te, poi mio fratello è venuto a cercarmi e siamo tornati anche noi tre, ci siamo fermate sulle scale, mentre i parenti sono iniziati ad arrivare, il ramo della tua famiglia, finché si è creato un momento per me, nessuno era con te, così sono entrata da sola... papà mi sento ridicola nel dirti che il mio primo pensiero è stato "ti hanno preparato esattamente come la tecnica che la nostra caposala ci ha insegnato", assurdi i pensieri che passano, tu sembravi sereno, ti ho detto "ti voglio bene" guardando il cielo poi ti ho dato un bacio sulla guancia, un dolore acuto mi ha trafitto il cuore perché la tua guancia era gelida e dura come quella di una statua e il contrasto con un altro bacio caldo mi si è parato dinnanzi, ricordi? Eri ricoverato nel "mio" ospedale, così nelle pause del tirocinio venivo a trovarti, un pomeriggio ti ho trovato addormentato e ti ho dato un bacio sulla guancia, mentre gli altri pazienti sgranavano gli occhi sorpresi, ero in divisa e quello non doveva essere tra i miei doveri, non sapevano che ero tua figlia, ti sei svegliato ed abbiamo parlato, abbiamo passeggiato nel corridoio, anche lì i corridoi sono lunghi, siamo arrivati fino in fondo alla finestra, poi sono dovuta tornare nel mio reparto e ti ho salutato più volte mentre rifacevo il corridoio a passi svelti, l'ultima ti ho visto salutarmi col braccio alzato mentre il sole ti incorniciava il profilo, eri alto 1,93 mt e grosso, Andrea, una volta il piccolo di casa, ha preso da te e ti ha pure superato, quell'immagine di te, sereno e orgoglioso di me, che mi saluti col braccio alzato è l'ultimo ricordo bello di te, prima del litigio e dello spezzarsi del legame, della vita... quando ti ho baciato mentre dormivi la tua guancia era morbida e calda, invece l'11 aprile del 1992 era marmorea, fredda... 
Quando una persona cara viene a mancare i momenti e primissimi giorni successivi sono convulsi, ci sono tante pratiche burocratiche da svolgere, parenti da vedere, situazioni da affrontare, emozioni, volti, voci, situazioni che ti travolgono e stordiscono, poi il funerale, qualche parente e amico intorno, poi tutto si ferma all'improvviso, non c'è più nessuno, la vita riprende a scorrere normalmente per tutti, soliti impegni, ma per chi è in lutto niente è più come prima, inizi a convivere con un'assenza, una mancanza fisica, emotiva, temporale, con un dolore che ti segue ovunque...
Papà ci ho messo un anno a piangere davvero, dopo quel primo sfogo all'ospedale mi sono cristallizzata, non ho più pianto, andavo in tirocinio anche la domenica, cercavo di stare in casa ancora meno di prima, tu c'eri ma non c'eri, è difficile da spiegare e da vivere ancora di più...
Siamo andati avanti papà, come lo hai potuto vedere dal cielo, vedi come stiamo messi ora, parliamo poco di te, abbiamo commesso l'errore di vivere il dolore ognuno per conto proprio, questo per proteggerci credo, di fatto ci ha allontanato e reso più difficile superare il lutto, ci sei mancato ogni giorno e ci manchi, ogni 11 aprile è difficile, nessuno parla ancora adesso, ma tutti sappiamo...
Il tuo è stato il primo lutto per i miei fratelli, ma non per me, avevo perso una persona speciale diversi anni prima di te, quel dolore mi ha aiutato ad affrontare meglio il tuo, ma ogni perdita è diversa, ogni dolore personale, io ho imparato a chiedere scusa subito, a dire grazie subito, a non aspettare, perché potrebbe non esserci un'altra occasione e il rimpianto è duro da sopportare.
Sai papà che non ho più litigato davvero con qualcuno per molti anni, mi era rimasta dentro la rottura definitiva dopo il nostro litigio, per cui ci ho messo tanto a riprendere la capacità di provare rabbia, di discutere civilmente con qualcuno...
Papà il nostro rapporto è stato sofferto e complicato lo sai, abbiamo litigato spesso, ti ho giudicato e condannato duramente per i tuoi errori, non ho saputo comprenderti, all'inizio eri la causa di tutto, essere arrabbiata con te una costante, il tempo, gli anni, la terapia, ma soprattutto la fede mi hanno donato la grazia di perdonarti e perdonare me stessa e di ritrovare tutto il bello, tutto il buono che c'era e i piccoli preziosi indimenticabili momenti con te...
Avrei tante cose da raccontarti, da chiederti, ma alla fine questa lettera diventerebbe un libro che annoia i lettori, ho iniziato a scrivere per parlarti di oggi invece mi sono fermata su quell'11 aprile del 1992, un giorno che ha cambiato per sempre la nostra famiglia... tutto il resto tu lo sai già, meglio di come riuscirei a scriverlo, aiutaci dal cielo per favore... ti voglio bene papà, ieri, oggi e sempre, attendo il momento in cui potrò riabbracciarti in cielo, nella pace vera...

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