La poesia di Giorgio Caproni

(immagine presa dal web)

Ogni estate gli studenti dell'ultimo anno delle superiori sono chiamati a sostenere il tanto temuto esame di maturità, quest'anno tra le tracce del tema d'italiano (il mio esame preferito) è stata proposta una bellissima poesia di Giorgio Caproni, che personalmente non conoscevo e che voglio proporvi nel post di oggi. Caproni era un poeta, critico letterario e traduttore (specie dal francese) italiano e merita un nostro approfondimento, intanto lasciamoci dilettare da questi versi stupendi, profondi e molto significativi, oltre che attuali e importanti per chi ha a cuore i temi ecologici, in verità per tutti.
Nell'articolo di Radio Vaticana dedicato proprio a Caproni si riporta una sua definizione del poeta che sento di condividere < Per me il poeta è un pò come il minatore che, dalla superficie dell'autobiografia scava, scava, scava, scava finché trova un fondo nel proprio io che è comune a tutti gli uomini >. La poesia scelta è tratta dalla raccolta Res Amissa pubblicata postuma nel 1991.


Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l'uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L'amore
finisce dove finisce l'erba
e l'acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l'aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: "Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l'uomo, la terra".

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