"Il terremoto può togliere tutto... eccetto il coraggio della fede" Mons. Giovanni D'Ercole


Facendo memoria del terremoto che ha dilaniato il centro Italia, da credente mi hanno molto colpito e coinvolto i funerali delle vittime, come era già accaduto per quelle de L'Aquila, le cui immagini sono ancora vive dentro me, di mio sono ipersensibile, figuriamoci in contesti di grande dolore e commozione, mi hanno colpito le parole delle omelie del vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili e quelle del sindaco Pirozzi durante i funerali delle vittime di Amatrice, 78 i feretri per i funerali pubblici, gli altri hanno preferito quelli privati, mi ha colpito la vicinanza e la partecipazione vera, non formale, del Presidente Mattarella, erano presenti altre cariche, ma preferisco fermarmi all'unica che ho percepito reale e che mi ha commosso nel vederla sostare accanto ai familiari, nell'abbraccio, nell'ascolto e nel dialogo personale con ciascuno.

In questo post vorrei però riprendere l'omelia molto forte e toccante di Monsignor Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, che era vescovo a L'Aquila durante il terremoto del 2009, durante le esequie delle 35 vittime marchigiane del terremoto, che si svolte in una palestra, il video integrale è stato messo su YouTube, ma riporto qui il video breve dell'omelia perché quelle parole non devono andare perdute, ma raccolte e vissute ogni giorno, nei terremoti reali e in quelli che la vita a volte ci porta a vivere, quando un evento doloroso entra di prepotenza e ti strappa tutto...



Riporto quelle parole per i non udenti e per chi non se la sente di guardare il video perché il dolore è ancora troppo forte e vivo...

"Cari amici, mi rivolgo soprattutto a voi che siete diventati la mia famiglia, in questi giorni abbiamo sofferto insieme, abbiamo sperato insieme, abbiamo pianto insieme, ma adesso è il momento della speranza... Molti di voi mi hanno detto, ma anche altri "Vescovo, e adesso che si fa?", quante volte in questi giorni l'ho sentito dire, ma questa è una domanda che oggi non ha una risposta, la risposta che forse in questi giorni ho potuto dare e che forse potremo dare è il silenzio, è l'abbraccio e, per me, la preghiera... Nella preghiera ho trovato molta pace, questa notte, preparandomi a parlare a voi e a tutte le persone convenute, ho rivolto questa domanda a Dio: "E adesso che si fa?". Gli ho presentato l'angoscia di tante persone che, in questi giorni i giornali lo hanno raccontato, ma un conto è raccontare, un conto è vivere da vicino, e Gli ho detto: "Signore, ma queste persone che hanno perso tutto, che sono state strappate alla loro famiglia, che sono state sventrate dal terremoto, ora che fai? Che fai?" 
Mentre pregavo mi è venuto in mente, viva, l'immagine di Giobbe che abbiamo ascoltato nella Prima Lettura (Giobbe 19, 1-29), un uomo giusto perseguitato, incompreso, abbandonato da Dio, che però non lo abbandona e nel momento più terribile, dopo essere stato abbandonato da tutti, ha perso tutto, ha perso la sua famiglia, dispersa totalmente, lui si rivolge e con solo la forza dei deboli ha detto ma
< Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! > (Giobbe 19,25). Si, la polvere, il terremoto è polvere. Quando sono arrivato il primo momento a Pescara del Tronto era buio ancora, ho visto solo polvere, tanta polvere, il terremoto è polvere che ha accomunato paesi fratelli, da Amatrice a Pescara del Tronto, che un tempo facevano parte di una sola diocesi, ecco perché è bello oggi, secondo me, ed esprime fraternità la presenza di Mons. Domenico Pompili, Vescovo di Terni, oggi Vescovo anche di Amatrice ed Accumoli, ma anche di Mons. Petrocchi, Vescovo de L'Aquila, dove io ho conosciuto la sofferenza del dopo terremoto e mi appresto a viverla anche qui, ma mi appresto a viverla come padre, perché padre io sono, il Vescovo è un papà e, come tale, deve stare in mezzo alla gente sempre. Vescovo, però, mi hanno detto e ho letto sui social, "non ci ripetere le solite cose di voi preti, che in queste circostanze avete sempre parole per tutto". No, è giusto che voi lo diciate, anzi è giusto che voi lo crediate, anzi diciamolo insieme < Signore, tu parli, ci dici sempre le stesse cose, ma qui abbiamo perso tutto, capisci?! Ma Tu dove stai? >.
Apparentemente però non ho ricevuto nessuna risposta eppure, cari amici, se appena voi guardate oltre le lacrime, voi scorgerete qualcosa di più profondo, nessuno di noi, e anche voi con me oggi potete testimoniare che il terremoto, con la sua violenza, può togliere tutto - tutto! - eccetto una cosa: il coraggio della fede! 
Ecco perché queste solite cose che noi ripetiamo, che oggi ripeto, non sono solite cose convenzionali, ma sono una scialuppa di salvataggio quando uno si trova in un mare in tempesta, senza questa sorgente di speranza che è la fede noi saremmo, e voi, in questo momento, sareste in un lastrico di miseria abbandonati da tutti, perché oggi i riflettori sono accesi, domani si spegneranno... 
l'audio video si interrompe e riprende quando Mons. Giovanni D'Ercole cita don Camillo quando... questo originale parroco dovette affrontare il dramma di un'alluvione, che aveva complicato terribilmente la speranza della gente, leggo da Giovannino Guareschi < La porta della chiesa era spalancata e si vedeva la piazza con le case annegate e il cielo grigio e minaccioso. "Fratelli - disse don Camillo - Le acque escono tumultuose dal letto del fiume e tutto travolgono: ma un giorno esse torneranno placate nel loro alveo e ritornerà a splendere il sole. E se, alla fine, voi avrete perso ogni cosa, sarete ancora ricchi se non avrete perso la fede in Dio. Ma chi avrà dubitato della bontà e della giustizia di Dio sarà povero e miserabile anche se avrà salvato ogni sua cosa". Don Camillo parlò a lungo nella chiesa devastata e deserta e intanto la gente, immobile sull'argine, guardava il campanile. E continuò ancora a guardarlo e, quando dal campanile vennero i rintocchi dell'Elevazione, le donne si inginocchiarono sulla terra bagnata e gli uomini abbassarono il capo. La campana suonò ancora per la Benedizione. Adesso che in chiesa tutto era finito, la gente si muoveva e chiacchierava a bassa voce: ma era una scusa per sentire ancora le campane >.
Amici le torre campanarie dei nostri paesi, che hanno dettato i ritmi dei giorni e delle stagioni, sono crollate, non suonano più, ma un giorno continueranno a suonare, riprenderanno a suonare e sarà il giorno della Pasqua, ce lo ha assicurato San Paolo nella seconda Lettura che non parlava per scherzare, perché diceva < se per mezzo di un uomo è venuta nel mondo la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti > (1 Corinzi 15,21). Paolo sapeva bene che Dio non è tenuto a darci giustificazioni, quello che fa non ce lo deve spiegare, il suo non è un Dio logico, non c'è nulla di più lontano da lui di tutta la nostra filosofia, eppure Paolo però come Giobbe condivide una fede difficile, sa che Cristo ha la passione dell'impossibile, è il Dio al quale riescono le cose che gli uomini giudicano follia, assurdità, Lui può tutto veramente, se tu ci credi... quelle cose che nemmeno gli apostoli durante un'improvvisa tempesta (nel lago di Tiberiade) riuscirono a capire all'istante "Maestro non t'importa nulla che stiamo affogando?" (Marco 4, 35-40) gli dicono quando la barca traballava, e Lui passando dice "uomini di poca fede perché avete dubitato?".
"Al tuo Dio, don Giovanni, importa nulla se noi moriamo?" mi ha detto uno un giorno. Dio si è vero pare tacere, le nostre sembrano chiamate che non hanno risposta, Dio però - lo so, lo sento - è un Padre e un padre non può mai rinnegare la sua paternità e allora, anche se noi lo imprechiamo non si arrabbia, non s'arrabatta nell'ira, in quei momenti ci capisce fino in fondo, però ci indica qualcosa e, se stiamo attenti, è la scialuppa di salvataggio. C'è un segno quest'oggi, amici tutti, che vorrei condividere con voi: il primo giorno del terremoto, era verso le 18/18.30, mi sono avventurato solo con un amico perché volevo andare in chiesa a vedere cosa era rimasto, era piena di macerie "no, non vada vescovo che è pericoloso!", no io vado perché devo andare a recuperare il mio Crocifisso, questo Crocifisso viene da lì, nella stessa ora, a 2 metri dalla chiesa, i vigili del fuoco stavano recuperando due bambine, una, la più grande, Giulia, era riversata sulla più piccola, Giorgia, Giulia morta, Giorgia viva, erano abbracciate, è l'abbraccio tra la morte e la vita, a me sembra che abbia vinto la vita, la piccola Giorgia... Allora mi viene in mente quello che Gesù ha detto poc'anzi nel Vangelo, dice alla donna che piange suo figlio "non piangere" e dice al ragazzo "ragazzo dico a te, alzati!" (Luca 7, 11-17), l'avrei fatto anche io per la piccola Marisol, ma non ci riesco, però so che DIO NON ABBANDONA.
E adesso, ancora una volta, mi ritorna nel cuore la domanda che mi hanno fatto e continueranno a farmi, voi, ed è giusto che me la facciate: "E adesso, vescovo, che si fa?", perché il terremoto è la fine, un boia notturno venuto a strapparci la vita, però la nostra terra non si scoraggia e mi rivolgo soprattutto a voi giovani, non solo a voi che siete qui, ma anche ai giovani che hanno perso la vita, perché voi sapete come tra i tanti morti ci siano diversi ragazzi, allora permettete che rivolga soprattutto ai ragazzi un pensiero, a voi ragazzi, noi siamo in un tempo di guerre, oggi si combatte un pò dappertutto, anche il terremoto è una guerra, il terremoto è una guerra perché la natura non ci perdona e non possiamo difenderci, ecco perché è saggio imparare a dialogare con la natura e a non provocarla inutilmente, ma in natura mi è venuta in mente un'altra immagine: il terremoto è come un aratro, quando l'aratro lavora la terra ferisce, spacca la terra, la frantuma in zolle, è violento l'aratro, l'aratro ferisce ma è lo strumento prima per una nuova nascita (seminagione), per una nuova terra, si ara per preparare la terra a un nuovo raccolto.
I sismologi tentano in tutti i modi di prevedere il terremoto, ma solo la fede ci insegna come superarlo, la fede, la nostra difficile fede, ci indica come riprendere il cammino ed io ve lo indico con due immagini: con i piedi per terra e il volto rivolto verso il cielo
La solidarietà, oggi rappresentata in maniera solenne dalla presenza del Presidente della Repubblica, al quale rivolgo il mio deferente saluto, dal Capo del Governo, dal Presidente della Camera, del Senato, dalle autorità, dai politici, dalle molte associazioni di volontariato, che in questi giorni si sono fatte sentire con tutto l'amore che mi ha commosso, dai tanti amici che sono venuti oggi a mostrare la loro completa vicinanza, dalla solidarietà espressa soprattutto dal Papa, dai Vescovi della nostra regione, dalle chiese di tutta Italia, come quelle di tutto il mondo, grazie a tutti di cuore. La solidarietà è una parola importante, la solidarietà cari ragazzi, cari amici, cari tutti, ci fa tenere i piedi ben saldi per terra e ci insegna ad abbracciare tutti, con un abbraccio che ci consenta di affrontare le difficoltà insieme, per costruire, solo insieme, un mondo migliore.
Gli occhi però devono guardare in alto, guardare in alto, pregare e poi avanti con coraggio e lavorare, "Ave Maria e avanti", così ripeteva San Luigi Orione, che è il papà della mia congregazione religiosa esperta di terremoti, Ave Maria e avanti, amici tutti, mi rivolgo soprattutto a voi, non abbiate paura, non vi lasceremo soli, diversi di voi ci hanno detto "non ci abbandonate", per quando mi riguarda finché vivrò non vi abbandono, non abbiate paura, non abbiate paura di gridare la vostra sofferenza, ne ho vista tanta, ma mi raccomando non perdete il coraggio, non perdete il coraggio, perché solo insieme noi potremo ricostruire le nostre case e le nostre chiese, insieme soprattutto potremo ridare vita alle nostre comunità e l'assemblea quest'oggi che raccoglie l'Italia in un abbraccio straordinario attorno a voi sta ad indicare la volontà politica, civile, spirituale di tutti noi di essere una famiglia, un impegno che spero non duri l'arco di un giorno o di un mese, ma che diventi lo stile della nostra vita, perché il futuro potrà essere migliore solo con l'aiuto di Dio e l'impegno di ciascuno di noi, con amore sempre insieme, ne sono certo, con l'aiuto della Madonna che mai ci abbandona, noi vivremo un'avventura straordinaria perché l'amore, ne sono certo, è più forte del dolore e la morte è sconfitta dalla vita.


A conclusione del post ho pensato di mettere anche il video, preso da YouTube, dell'omelia di Don Camillo proprio nell'episodio dell'alluvione citato da Mons. Giovanni D'Ercole... come segno di speranza...

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